martedì 12 giugno 2012

Stephen King e gli avverbi

Ho avuto di recente occasione di sentir parlare Sandro Veronesi, che pare una persona simpatica e preparata (lo sapevano tuttoi, suppongo, ma io non l'avevo mai visto di persona).

Ma qui mi interessa in particolare un episodio che ha raccontato. All'inizio di un corso di scrittura incoraggiava gli studenti a porre domande o dubbi e uno, tutto timido, gli fa: “Ma questo fatto che non bisogna usare gli avverbi... ma proprio mai mai?” Al che Veronesi salta su e cerca di capire da dove mai venga il malsano consiglio. La fonte è un certo docente, che a sua volta etc. etc. A farla breve, la fonte prima sarebbe Stephen King. E dagli addosso a King, che mette i giovani sulla cattiva strada, che predica male e razzola così così etc. (mia liberissima parafrasi: in realtà non è stato detto nulla del genere).

Insomma, ho cercato di capire che cosa abbia detto veramente King e, se non è andato di persona a sussurrare qualcosa ai docenti di una certa scuola di scrittura torinese, la sua posizione sull'argomento è esposta in On Writing (che consiglio). Qui potete trovare un estratto in inglese; il succo è che, secondo il nostro, “l'avverbio non è un amico”, non è qualcuno cui rivolgersi per fargli fare tutto quello che non vogliamo o sappiamo fare noi. Descrivere un'azione col solo verbo può essere più efficace che accompagnarla con un avverbio:
“Don't be such a fool, Jekyll,” Utterson said 
(“Non faccia lo sciocco, Jekyll”, disse Utterson)
può essere più efficace di
“Don't be such a fool, Jekyll,” Utterson said contemp­tuously 
(“Non faccia lo sciocco, Jekyll”, disse con disprezzo Utterson),
dice King, e così per vari esempi, nei quali sconsiglia anche l'abuso di verbi troppo “pieni di steroidi” (grated, gasped, jerked out).
Ma la cosa più importante è che per King questo bando agli avverbi vale quasi solo all'interno dell'attribuzione delle battute. Per il resto, gli avverbi sono come i soffioni: pochi in mezzo a un prato lo impreziosiscono, troppi lo infestano esageratamente e veementemente.

venerdì 8 giugno 2012

Arrivano i Dragomanni

Più d'uno dei miei 2,5 lettori già lo sa: stanno partendo i Dragomanni.

Che rob'è? È un mio progetto, in cui ho coinvolto vari colleghi traduttori, per tradurre in italiano e pubblicare in proprio - sotto forma di ebook - testi di classici (o libri che dovrebbero esserlo) nonché di autori contemporanei.
È una non-casa editrice. Non ha alcuna struttura societaria ufficiale, ma c'è un coordinamento informale sui titoli da tradurre, una collaborazione redazionale e tecnica: ci si aiuta a vicenda, in sostanza.
Il nostro modello d'impresa, finora, è stata la «zuppa di pietre», come in quella storia del tale che arrivava in un paese con una pietra dalle proprietà magiche: buttata in un pentolone di acqua bollente avrebbe dato una magnifica zuppa. Tutti ne furono entusiasti, tanto che qualcuno offrì un paio di carote per arricchire un po' la zuppa, qualcun altro un osso con un po' di carne attaccata, e così via.
Bene, qui qualcuno ha fornito un logo, qualcun altro ha finalmente messo mano all'idea che aveva da tempo; chi si è cimentato nella stesura delle norme redazionali, chi ha allestito la pagina web. E dalla pietra per niente magica è venuta fuori una vera zuppa saporita che ora si può cominciare a mangiare.

Così, dopo qualche mese di sobbollitura, oggi è pronto il primo ebook e, a giorni, i prossimi due.


Il primo titolo dei Dragomanni è il racconto breve «L'uomo senza collo» di Melinda Nadj Abonji, una scrittrice magiaro-svizzera di lingua tedesca, tradotto da Roberta Gado che ha anche curato una nota sul racconto.
L'ebook è pubblicato in collaborazione con la casa editrice Voland, in occasione dell'uscita, il 14 giugno, del romanzo Come l'aria della Nadj Abonji, sempre tradotto da Roberta Gado. «L'uomo senza collo» si può scaricare gratuitamente, in formato .epub,  dal sito di Simplicissimus.

domenica 3 giugno 2012

Scomparire in un rebus

Non ho certo tempo, e neanche voglia, per dilungarmi sui fatti di Parma, ma essendo un appassionato di metafore miste in libertà, sono contento che abbiano reso possibile questa frase ad alta densità di metafore (non meno di tre più le etimologie metaforiche di “capire” e “squadra”):

A Parma hanno capito l’antifona, e Tavolazzi è scomparso dai radar nel complicatissimo rebus della squadra.


venerdì 1 giugno 2012

Il colpevole è il maggiordomo

Sarò io, ma ho l'impressione che tutta questa storia del maggiordomo del papa sia un’istanza di “effetto Streisand”.