sabato 2 febbraio 2013

Un apocrifo di Lem

Nei giorni scorsi mi è capitato di fare una piccola scoperta bibliografica.

Sono necessari due antefatti, anche se più d'uno dei miei 2,5 lettori non ne avranno bisogno.

Antefatto 1. Per introdurre alcuni concetti sull'infinito, si menziona spesso l'albergo di Hilbert, un hotel che ha infinite camere numerate progressivamente: 1, 2, 3...
Uno degli aspetti mirabili di questa struttura ricettiva è che, anche quando è completamente piena, c'è modo di accogliere ancora qualche ospite, pur senza costringere nessuno a condividere la camera con un estraneo. Poniamo che arrivi un nuovo viaggiatore imprevisto. Basterà chiedere cortesemente (il posto di direttore dell'albergo di Hilbert è riservato a persone più che diplomatiche) all'occupante della camera 1 di trasferirsi nella camera 2, a chi occupava la 2 di spostarsi nella 3 e così via. A questo punto tutti hanno una camera ed è rimasta vuota la 1. Basta rifare il letto, ed eccola pronta per l'ospite inatteso.
Con una variante dello stesso trucco si possono accogliere dieci, cento, mille nuovi avventori... e persino infiniti. In quest'ultimo caso, un modo consiste nello spostare l'ospite della 1 nella 2, quello della 2 nella 4, quello della 3 nella 6 e così via, trasferendo ognuno nella camera con numero doppio rispetto a quella originaria. In questo modo alla fine rimangono vuote infinite camere, tutte quelle con un numero dispari.
Il tutto serve per illustrare alcuni dei paradossi legati al concetto di infinito, a far vedere che un insieme infinito può contenerne propriamente un altro (così come l'insieme dei numeri naturali ne contiene propriamente quello dei numeri pari), ma al contempo averne lo stesso “numero” di elementi.

Antefatto 2. Lo scrittore polacco Stanisław Lem è autore di vari racconti e romanzi in cui compare come personaggio o semplice narratore il cosmonauta Ijon Tichy. Più d'uno dei racconti si riferiscono a uno specifico viaggio di Tichy (per esempio le Memorie di un viaggiatore spaziale comprendono il “Settimo viaggio”, “Ottavo viaggio”, “Undicesimo viaggio”...), ognuno dei quali ricco di incontri fantasiosi.

Basta con gli antefatti. In vari libri divulgativi di matematica in lingua inglese, raccontando l'apologo dell'albergo di Hilbert, si cita l'uso letterario che ne ha fatto Lem in un suo racconto di cui viene dato come titolo inglese “The extraordinary hotel or the thousand and first journey of Ion the Quiet”.
Ora “Ion” potrebbe essere un semplice refuso (presumibilmente occorso in occasione della prima pubblicazione inglese, perché tutti lo citano così) e “Quiet” è il significato della parola polacca “Cichy”, che è un quasi omofono del cognome del nostro viaggiatore.
Il vero problema è che questo racconto non compare in nessuna bibliografia di Lem. Me ne sono accorto perché lo menziona un libro (statunitense) che ho tradotto e mi sono intestardito a trovare il titolo originale del racconto e un'eventuale traduzione italiana (in un libro in italiano che cita un testo polacco non ha molto senso dare il titolo inglese).
A farla breve, una piccola indagine mi ha portato a sbrogliare la matassa.

Il racconto non è di Lem. È di un matematico e divulgatore russo, Naum Vilenkin (1920-1991), che lo scrisse in esplicito omaggio a Lem e inserì in un proprio libro divulgativo sulla teoria degli insiemi (che, per chi sa il russo, è disponibile qui).
Il racconto è introdotto con le parole “Но такие гостиницы могут встретиться разве что в рассказах нашего старого знакомого, межзвездного путешественника Йона Тихого. Итак, предоставим ему слово”, cioè “Ad ogni modo, alberghi di tal fatta si ritrovano solo nei racconti di una nostra vecchia conoscenza, il viaggiatore interstellare Ijon Tichij. Pertanto, a lui la parola”.
Esiste una traduzione inglese del libro di Vilenkin, intitolata Stories about Sets, pubblicata dalla Academic Press nel 1968 e tradotta da “Scripta Technica”. (S.T. era presumibilmente un'agenzia di traduzioni: la rete non ne sa molto. Per esempio, in un forum qualcuno chiede, e non trova, lumi su questa società che “did a lot of translation in many fields across many languages of scholarship and science in the sixties and seventies, and apparently into the nineties”.)

Nella traduzione inglese il passo che introduce il racconto diventa “Such hotels can be found in the stories about the interstellar traveler Ion the Quiet, the famous hero of ‘The Interstellar Milkman, Ion the Quiet,’ written by the Polish fantasist Stanislaw Lem. Let's hear what he has to say”. Qui, per il nostro Tichy, oltre alle modifiche al nome che abbiamo già notato e che sono ulteriormente spiegate dal suo transito attraverso il russo (dove “tichij” significa appunto “silenzioso, tranquillo”), gli è apparso il misterioso attributo di “lattaio”. Può entrarci il fatto che in un passo successivo dell'originale russo (che non compare nella traduzione) si parla di un “Club dei Viaggiatori Intergalattici” e ci sarebbe stata una confusione con l'etimo di “galassia”?
La versione inglese non è fedelissima: salta accorpa lima, e in particolare espunge una sezione “Планета мифов” (“Il pianeta dei miti”) in cui - nell'originale - compariva una nota chiarificatrice: “I viaggi di Jon Tichij sono descritti dal famoso scrittore di fantascienza polacco Stanislaw Lem in I diari stellari di Ion Tichij. L'autore dei Racconti sugli insiemi si augura che S. Lem gli perdoni il goffo tentativo di imitazione e che i lettori non rimproverino a S. Lem la scarsa qualità letteraria dell'esposizione dell'Autore”. Diari stellari è la traduzione letterale di Dzienniki gwiazdowe, il titolo originale delle Memorie di un viaggiatore spaziale.

Il libro da cui il racconto sullo “extraordinary hotel” viene in genere citato in ambito anglofono non è però questo di Vilenkin, ma un'antologia apparsa successivamente, Imaginary Numbers, curata da William Frucht (J. Wiley, 1999). Riunisce testi o estratti di Carroll, Calvino, Rucker, Smullyan, Hofstadter e vari altri autori a cavallo tra matematica e letteratura, tra cui numerosi autori di fantascienza (Dick, Gibson, Leiber, Haldeman, Willis, Zamjatin, Ballard, oltre a un vero Lem), qualche poeta (Marvell, Szymborska) e anche il nostro Landolfi.
Il problema è che evidentemente il curatore deve aver frainteso quell'introduzione: l'aggiunta della menzione esplicita di Lem, seguita immediatamente da “Let's hear what he has to say” gli hanno fatto ritenere che il racconto che seguiva fosse di Lem. E quindi nell'antologia (fino alla pagina degli “Acknowledgments”) il racconto risulta di Lem, e come tale viene riportato da tutti quello che lo hanno citato in seguito.
Quindi alla fine è successo proprio quello che paventava Vilenkin quasi come vezzo, che cioè i meriti o demeriti del suo apocrifo su Tichy siano stati rimproverati (o forse lodati) a Lem.

(Per avermi aiutato a far luce sulla questione ringrazio i frequentatori di Science Fiction & Fantasy Stack Exchange, vari altri viandanti più o meno anonimi della rete e soprattutto l'impagabile amico Leonardo M. Pignataro, slavista e molto altro.)