martedì 6 aprile 2010

Kurt Gödel e la dimostrazione dell'esistenza di dio

È uscito un mio articolo sull'ultimo numero della rivista “Noncredo”, a proposito della cosiddetta dimostrazione dell'esistenza di dio elaborata da Kurt Gödel. Eccolo qui (compreso il paragrafo finale di bibliografia che non è comparso sulla rivista).

Kurt Gödel e la dimostrazione dell'esistenza di dio

Kurt Gödel fu uno dei più grandi logici di tutti i tempi. Gli si devono alcuni risultati fondamentali in vari ambiti della logica, i più noti dei quali sono i teoremi di incompletezza, che descrivono i limiti intrinseci di qualunque sistema formale.
Tra le carte di Gödel - ne parlò a un collega nel 1970 ma probabilmente risale a molti anni prima - si trova anche una dimostrazione, concisa (due scarse pagine manoscritte) e puramente logica, dell'esistenza di dio. Di fatto si tratta di una rielaborazione delle varie prove ontologiche con cui, da Anselmo d'Aosta a Cartesio e a Leibniz, si è cercato di stabilire per via razionale la necessità dell'esistenza di dio, partendo da una definizione astratta dell'ente supremo e mostrando che come conseguenza di questa definizione l'ente non può non esistere. Una di queste versioni, semplificando, consiste nel dire: “Definiamo dio come l'ente dotato di tutte le possibili perfezioni; esistere è una perfezione (rispetto a non esistere), e quindi dio esiste”.




La dimostrazione di Gödel
La principale novità introdotta da Gödel consiste nell'esplicitare i possibili assunti che prima potevano rimanere impliciti, e nell'usare il formalismo e i metodi della logica modale, cioè di quel tipo di logica che tiene conto delle “modalità”: un'affermazione non è solo vera o falsa, ma può essere vera in modo necessario, oppure possibile (cioè non è necessaria la sua negazione), oppure contingente (cioè non è necessaria né essa né la sua negazione), o altro.
Semplificando, la linea della dimostrazione di Gödel parte dal definire formalmente il concetto di “proprietà positive”. Intuitivamente, si tratta dei classici attributi, o perfezioni, come l'onnipotenza, l'immortalità, la giustizia, la compassione e così via. Ma di tutto ciò, nel testo di Gödel, non si fa menzione. Si descrivono le proprietà positive in astratto, definendole come si fa per gli enti matematici. Si dichiara che l'unione di due proprietà positive è ancora una proprietà positiva, che se una cosa non è una proprietà positiva allora lo è la sua negazione, e così via.
Dio, o meglio la proprietà G che viene interpretata con il significato di “essere dio”, viene così definita come la proprietà consistente nel possedere tutte le proprietà positive.
Vengono inoltre dati alcuni assiomi, i veri e propri punti di partenza del ragionamento, tra cui per esempio il fatto che l'“esistenza necessaria” sia una proprietà positiva, e che ogni proprietà che sia conseguenza di una proprietà positiva sia a sua volta positiva.
A partire dalle definizioni e dagli assiomi si sviluppa una serie di passaggi che, pur costituendo la dimostrazione vera e propria, paradossalmente ne sono la parte meno interessante e più tecnica rispetto all'impostazione generale e agli assunti scelti per dare il via al ragionamento. Applicando gli strumenti della logica modale si deduce dapprima che è possibile che esista qualcosa che ha la proprietà G; e poi che se è possibile che esista allora è necessario. Quindi, dio esiste.

Cosa c'è che non va?
Uno dei meriti dell'operazione di Gödel è di aver precisato compiutamente i termini che si utilizzano in questo tipo di dimostrazione e i rapporti tra essi. Per citare Roberto Magari, “in ogni caso il lavoro di formalizzazione e, di conseguenza, di chiarimento, fatto da [Gödel] è degno di ammirazione anche se, sembra a me, da tali concetti è improbabile cavar fuori qualcosa di rilevante”. Infatti, al di là dei suoi meriti, la dimostrazione di Gödel soffre in buona parte dello stesso tipo di difetti di tutte le altre prove ontologiche che l'hanno preceduta, difetti che già Kant aveva messo in luce.
Innanzi tutto il punto di partenza del ragionamento, cioè gli assiomi che vengono presi come base di tutto il resto, non sono in realtà molto più ovvii o facili da accettare delle conclusioni che ne vengono tratte. È stato anche rilevato che, sebbene gli assiomi non portino a contraddizioni formali, potrebbero dar luogo a una contraddizione una volta interpretati in termini etici o fisici: per esempio si può non concordare sul fatto che l'unione di due proprietà positive sia ancora una proprietà positiva, o sia anche solo concepibile (come succede per attributi non del tutto compatibili come la trascendenza e l'onnipresenza).
Inoltre è difficile, se non impossibile, passare dal mondo puramente astratto delle idee logiche all'esistenza concreta di qualcosa (dio, in questo caso), deducendo questa da quelle. Ed è discutibile già il fatto stesso di considerare l'esistenza in sé come una proprietà o una perfezione. Per molti filosofi si tratta semplicemente della copula di un giudizio, del verbo “essere” di una frase.
Infine molti, anche credenti, non condividerebbero il concetto di dio descritto da questo tipo di dimostrazioni, o addirittura non sarebbero d'accordo con l'idea stessa che sia possibile circoscrivere in termini umani l'essenza di un dio e tanto meno, quindi, manipolarla con procedimenti formali.

Gödel e dio
E allora come è possibile che una delle più grandi menti del XX secolo sia caduta nella secolare tentazione di risolvere con metodi terreni un problema che per sua stessa natura non si presta a questo approccio?
Prima di tutto, stiamo parlando di un appunto privato. È verosimile che sia solo poco più di un esercizio, un'analisi formale di un certo ragionamento, di cui Gödel si limitò a mettere in luce la struttura e a esplicitare il contenuto, alla luce del linguaggio e dei metodi della logica modale.
In secondo luogo un ragionamento di questo tipo, che va dal puramente logico al metafisico, è un'espressione di una certa forma mentis, portata a un estremo. Nella logica, se un sistema formale (un insieme di simboli e di regole per manipolarli) non contiene contraddizioni, cioè se non è possibile dedurre al suo interno sia un'affermazione sia la sua negazione, allora in qualche senso questo sistema esiste. In genere questa esistenza è del tutto astratta: è possibile costruire un “modello” matematico che realizza tutte le proprietà di quel sistema formale. Normalmente non si intende che esista qualche oggetto fisico - o metafisico - descritto dal sistema formale. Nello stesso spirito, pare che Gödel fosse interessato a studiare la non-contraddittorietà - e quindi, in teoria, la possibilità - di varie teorie scientifiche e no, compreso lo spiritismo, la sopravvivenza dell'anima e così via.
Infine, pare che Gödel si considerasse un teista e avesse effettivamente un vivo interesse personale e, potremmo dire, una grande apertura mentale nei confronti di numerose possibilità, dalla vita oltre la morte e la trasmigrazione delle anime ai fenomeni paranormali. Su questo non si può dire molto, perché Gödel tendeva a essere schivo sulle sue opinioni personali e molto raramente le esprimeva in pubblico: la maggior parte di quello che sappiamo viene da testimonianze di conoscenti o dalla corrispondenza privata, tra cui alcune lettere in cui la madre lo metteva in guardia dai possibili millantatori in questo campo.

Mi piace concludere con una frase tratta dai taccuini di Gödel: “Dedicarsi alla filosofia è in ogni caso salutare, anche quando da ciò non emerge alcun risultato positivo (ma io rimango sconcertato). Ha l'effetto che «il colore appare più brillante», cioè che la realtà appare con maggior chiarezza come tale.”

Ulteriori letture
Per approfondire sia la dimostrazione vera e propria che il posto che ha nell'opera e nella vita di Gödel nonché nella storia delle prove ontologiche, è prezioso il volumetto Kurt Gödel, La prova matematica dell'esistenza di Dio, a cura di Gabriele Lolli e Piergiorgio Odifreddi (Bollati Boringhieri), dove il testo della dimostrazione e degli altri scarsi appunti relativi tratti dai taccuini di Gödel è accompagnato da utilissimi saggi di approfondimento; è incluso un articolo del grande logico matematico e filosofo, vero “maestro laico”, che è stato il già ricordato Roberto Magari, fondatore tra l'altro della rivista neo-illuminista Dubbio.
Sulla possibile incompatibilità delle proprietà divine tra loro, cui si accennava sopra, si veda l'articolo di Theodore M. Drange, “Incompatible-Properties Arguments: A Survey” (apparso sulla rivista Philo e ora disponibile in rete all'indirizzo http://www.infidels.org/library/modern/theodore_drange/incompatible.html).
Per apprendere qualcosa sull'opera di Gödel in generale e in particolare sui suoi teoremi di incompletezza, consiglio La prova di Gödel di Ernest Nagel e James R. Newman (Bollati Boringhieri) e quella cavalcata tra logica, arte e musica che è Gödel, Escher, Bach di Douglas Hofstadter (Adelphi).

3 commenti:

  1. Forse il limite di Goedel, quello che come ben individui condivide con tutti i tentativi di dimostrazione "razionale" dell'esistenza di Dio, è che parte da una parola: "Dio". Da qui non si può fare altro che costruire una serie indeterminatamente estesa di proposizioni, in ciascuna delle quali questa parola acquisisca significato nel solo modo in cui ogni parola sempre lo può acquisire: perchè immessa in un sistema di relazioni e differenze.

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  2. Rispetto a questa operazione, credenti e non credenti sono assolutamente omologabili: entrambi concludono che una o più delle proposizioni costruite son "vere" o "false" o magari "assolute" o "contingenti" etc. La stessa differenza che intercorre fra due frivole signore in boutique, l'una delle quali scelga il nero, l'altra il rosso, capaci poi di litigare a morte per stabilire quale sia la "ogettivamente migliore" delle due scelte. Norberto Bobbio ne diceva in modo magistrale, fede ed ateismo sono due simmetriche stupidità, parti d'un tutto insomma...

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  3. Esiste una terza strada, quella dei mistici, mai analizzata per un pregiudizio: il mistico si pone fuori dalla ragione, pretende di superarla, quindi a lui la ragione nulla avrebbe da dire e da lui nulla ha da imparare. Errore grave, frutto avvelenato della separazione fra scienza e religione. Almeno una cosa il mistico insegna alla ragione. Egli giunge a Dio non partendo da un fenomeno di sussitenza solo apparente qual'è una parola, ma da una esperienza. Ogni esperienza è analizzabile razionalmente, anzi la ragione muove sempre dall'analisi critica dell'esperienza. L'unica ad averlo compreso, così aprendo la strada dell'unità fra ragione e religione che era dei Greci, è Simone Weil, senza che nessuno abbia preso profitto dalla sua indicazione.

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