giovedì 19 gennaio 2012

“Un buon posto per morire” di Tullio Avoledo e Davide Boosta Dileo

Ho letto Un buon posto per morire di Tullio Avoledo e Davide Boosta Dileo. Avoledo di solito è uno Scrittore con la S maiuscola; di Dileo nella mia ignoranza senza fondo so solo quello che dicono il risvolto di copertina e la Wikipedia italiana, e cioè che è “il tastierista e fondatore dei Subsonica, dj, produttore, scrittore, compositore, presentatore televisivo, presentatore radiofonico, cantante, musicista”.

Il succo: rispetto agli altri libri di Avoledo, questo è abissalmente deludente.

La copertina già non promette bene. No, meglio riformulare: la copertina sembra fatta da un dilettante in una giornata no. È un'elaborazione grafica in cui si vedono la basilica di san Pietro, un'arena che ricorda il Colosseo e vari altri edifici disposti a casaccio, ognuno con una sua prospettiva indipendente. Il tutto è sovrastato da nuvoloni apocalittici, virato in rosso e condito abbondantemente con riflessi, flare e altri effetti ottici accattivanti.
E questa è solo la copertina.
(Non bisogna judge a book by its cover, dicono, ma chi se ne intende sa come stanno le cose.)

Il libro può piacere a qualche lettore di Martin Mystère che s'è stufato dei disegni bonelliani ma vuole nuove dosi della stessa droga: un asteroide imminente, nazisti sopravvissuti, basi segrete in Antartide, il golem, un gioco misterioso in cui è celata la Verità, Nostradamus, il Vril, le linee energetiche che collegano i luoghi di potere, Torino magica...


Non ho inventato nulla, e detto così può parere anche divertente, e mi aspettavo e speravo che lo fosse. Non lo è. Ma non vi fidate di me, eh, compratelo e leggetelo. Vi ho pure messo il link lassù: se lo comprate in tanti, forse Amazon mi accredita anche tre centesimi.


Ma questo è un blog di pignolerie, ed è nei dettagli che si cela il diavolo e che Avoledo e Dileo (e il loro distratto editor all'Einaudi) sono spiccatamente manchevoli.
Durante la lettura, quando avevo un pezzo di carta sotto mano - cioè non sempre - mi segnavo quello che non andava. Quindi vi posso dare appena un assaggio della faciloneria con cui A&D hanno affrontato qualunque ostacolo ortografico, scientifico, storico.


Il prologo dovrebbe creare lo sfondo su cui svolge la vicenda: incombe un meteorite che potrebbe distruggere la Terra e la cui conoscenza, da secoli, è appannaggio di cospirazioni e sette segrete. In due pagine scritte in stile pseudoscientifico e piene di dati, A&D riescono a concentrare tante imprecisioni da poterne fare un esercizio per un corso di editing scientifico. Che vuol dire che le probabilità di morire colpiti da un oggetto celeste sono “una su sei milioni”? All'anno? Al giorno? Per persona? È come dire che la probabilità di mangiare un uovo è una su dieci. Ha pure senso, se solo ci si mette d'accordo sul significato. Si spargono allegramente megatoni e numeri vari, ma soprattutto... che cos'è l'“energia cinetica potenziale”?
Siamo arrivati a pagina 7. Il libro ne ha 650: meglio sbrigarsi.


In un libro in cui la lingua tedesca e personaggi tedeschi hanno una certa rilevanza, e buona parte dell'azione si svolge in Antartide, non andrei a scrivere decine di volte Antartika al posto di Antarktika.
I conigli non sono roditori, il Terzo uomo non è un film di Orson Welles, “fante di fiori” in inglese non si dice “Jack of Flowers”, l'ordine che un sottufficiale tedesco dà per mandare alla carica i suoi uomini non è - per più ragioni - “Worwärts, menschen” [tutto sic]. E, ignorando tutte le altre ortografie creative e termini stranieri inutili, concludo con la miglior perla storico-linguistica.
Nel 1912, in un luogo improbabile (ma questo va bene, fa parte della trama) irrompono dei militi tedeschi “urlando «Imperial Kriegsmarine!»”
Che lingua è? Un misto di inglese e tedesco? Io non sono un esperto di storia militare tedesca, ma ci vogliono circa 24 secondi per apprendere che la marina militare tedesca dell'epoca si chiamava “Kaiserliche Marine”.


Non mi fraintendete: è un libro che una volta cominciato si fa continuare a leggere (in particolare, se uno ama un'eco stinta e quasi irriconoscibile dello stile di Avoledo, ripetizioni assortite, cattivi che paiono macchiette e un punto di vista narrativo che balla come un folletto ubriaco).

lunedì 16 gennaio 2012

Chi è stato tradito?

Leggo solo ora sulla “Lettura” (l'ottimo supplemento culturale domenicale del Corriere della Sera) dell'8 gennaio la breve recensione firmata da Franco Manzoni dell'antologia Poeti greci. Da Omero al VI secolo d.C. (edita da Dalai), curata e tradotta da Vincenzo Guarracino. Il libro promette bene, ma non ne parlo perché non l'ho visto.

Scrive tra l'altro Manzoni, che a sua volta è anche poeta e traduttore:
[Guarracino] si mette alla prova [...] cercando di raggiungere la medesima intensità linguistica emozionale dei testi originali. Tradire per ricreare quell'antica fulgida luce [...].
Quello che mi colpisce è che anche un serio critico letterario, e un serio critico letterario che recensisce specificamente una traduzione in quanto tale, si lancia in affermazioni che vanno dal banale (“raggiungere la medesima” etc., certo; che cosa, se no?) al discutibile (ancora “tradire”?), contraddicendosi nel frattempo.

È quasi come se un critico di vini dicesse:
[La tal cantina] si mette alla prova [...] cercando di spremere uva e lasciarla fermentare per ottenere un gustoso nettare. Produrre aceto per deliziare i palati [...].
(Devo l'idea di un parallelo tra la traduzione e la vinificazione, in tutt'altro contesto, all'amico Bruno Osimo.)


domenica 15 gennaio 2012

I 17 indizi del sudoku

Qui si parla di sudoku, di una nuova scoperta che lo riguarda e di una rivista che mi è simpatica e che quindi non voglio sbugiardare esplicitamente.

Comunque, in una pagina di notizie brevi di scienza, la rivista riporta che:
Il Sudoku ha una soluzione unica se contiene almeno 17 indizi. Gli schemi con un numero inferiore di indizi numerici possono invece avere più di una soluzione. Lo studio, pubblicato sulla rivista online Arxiv.org, è basato sullo sviluppo di un nuovo algoritmo e ha richiesto 7,1 milioni di ore di calcolo all'Irish centre for high-end computing.
Ora, la prima frase è falsa, la seconda quasi e nella terza c'è una seria imprecisione.
La vera notizia è che un sudoku con meno di 17 “indizi” (cioè numeri dati nello schema iniziale) sicuramente non ha una soluzione univoca. 17 è il numero minimo che permette di costruirne uno con una soluzione unica, ma non è certo vero che se un sudoku contiene almeno 17 numeri o più la soluzione sia unica. Ce ne sono di ben più affollati con soluzioni multiple.
Infine, Arxiv.org non è una rivista: è, come suggerisce il nome, un archivio in cui si possono depositare articoli, spesso in attesa che vengano valutati da una rivista scientifica, in modo che siano immediatamente accessibili a tutti.

E, sì, certi matematici tra cui il sottoscritto non sono particolarmente interessati a risolvere i singoli sudoku ma sono incuriositi dai non pochi aspetti matematici del gioco, come le sue proprietà “estremali” (qual è il minimo numero di indizi che devono essere presenti perché la soluzione sia unica? qual è il numero massimo che ammette più soluzioni? e via dicendo) e combinatorie in generale.
Poi, il sudoku in generale ha il problema innato di essere un esempio, elementare ma bello, di ragionamento matematico nonostante siano presenti dei numeri.
In altre parole, una reazione naïf al sudoku può essere: «Ci sono dei numeri, quindi è matematica». E spero che ormai quasi tutti sappiano che questa implicazione non è vera.
Qualcuno un po' più smaliziato conclude: «Sì, ci sono dei numeri, ma se anziché 10 9 cifre fossero 10 9 lettere o 10 9 simboli arbitrari, il gioco funzionerebbe allo stesso modo. Quindi non è matematica». L'inizio è giusto, ma poi il ragionamento naufraga drammaticamente, perché si basa sulla stessa premessa sbagliata che “matematica = numeri”.
Invece la matematica è fatta di ragionamenti, di configurazioni, di escludere contraddizioni, di porre ipotesi e trarne deduzioni. E tutte queste cose, in maniera embrionale, sono presenti anche nel più semplice degli schemi di sudoku.

Per approfondire, Maurizio Codogno spiega più in dettaglio le novità matematiche sul sudoku e rinvia a un altro proprio articolo sui quadrati latini e gli altri antenati del sudoku; a questo riguardo si possono vedere anche i lucidi di un seminario di Peter J. Cameron su “Sudoku, Mathematics and Statistics”; mentre nell'arxiv si può trovare appunto l'articolo con la scoperta di cui parliamo, “There is no 16-Clue Sudoku: Solving the Sudoku Minimum Number of Clues Problem” di Gary McGuire et al.