Leggo solo ora sulla “Lettura” (l'ottimo supplemento culturale domenicale del Corriere della Sera) dell'8 gennaio la breve recensione firmata da Franco Manzoni dell'antologia Poeti greci. Da Omero al VI secolo d.C. (edita da Dalai), curata e tradotta da Vincenzo Guarracino. Il libro promette bene, ma non ne parlo perché non l'ho visto.
Scrive tra l'altro Manzoni, che a sua volta è anche poeta e traduttore:
[Guarracino] si mette alla prova [...] cercando di raggiungere la medesima intensità linguistica emozionale dei testi originali. Tradire per ricreare quell'antica fulgida luce [...].
Quello che mi colpisce è che anche un serio critico letterario, e un serio critico letterario che recensisce specificamente una traduzione in quanto tale, si lancia in affermazioni che vanno dal banale (“raggiungere la medesima” etc., certo; che cosa, se no?) al discutibile (ancora “tradire”?), contraddicendosi nel frattempo.
È quasi come se un critico di vini dicesse:
[La tal cantina] si mette alla prova [...] cercando di spremere uva e lasciarla fermentare per ottenere un gustoso nettare. Produrre aceto per deliziare i palati [...].(Devo l'idea di un parallelo tra la traduzione e la vinificazione, in tutt'altro contesto, all'amico Bruno Osimo.)
OK, fantastico. Invece su «emozionale» non diciamo niente? Sgrunt.
RispondiEliminaemozioniamo?
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