mercoledì 9 novembre 2016

Una visibile quinta di copertina

Ogni volta che esce un nuovo numero della rivista in rete Tradurre è un evento (e un mucchio di roba interessante da leggere sulla traduzione).

Il motivo egocentrico per cui lo segnalo, però, è che il numero attuale (autunno 2016) contiene tra l'altro un articolo del sottoscritto, Invisibilmente verso l'invisibile, nell’ambito della nuova rubrica “quinta di copertina”, sulla mia traduzione del saggio L’invisibile. Il fascino pericoloso di quel che non si vede di Philip Ball.

venerdì 28 ottobre 2016

Prevenzione vuota

La prevenzione in ambito medico è una cosa sacrosanta, va da sé. Poi bisogna vedere che cosa prevenire, come, e in quali fasce delle popolazione, ma su questo non sono qualificato per parlare.


Quello su cui sono qualificato per parlare, invece, è questo: in questo manifesto si specifica che «se hai tra i 45 e i 49 e tra i 70 e i 74 anni ... puoi prenotare una mammografia gratuita». Ora, non saranno molte le donne che hanno un’età compresa tra i 45 e i 49 e al contempo tra i 70 e i 74 anni, no? In matematichese, l’intersezione fra l’intervallo (45, 49) e l’intervallo (70, 74) è vuota. Un modo della regione per risparmiare?

giovedì 15 settembre 2016

Il Fertility Day, i diritti delle donne e Isaac Asimov

Sulla questione imbarazzante (per il Ministero della salute) del “Fertility Day” e sul ritorno al passato che adombra, con l’esaltazione del ruolo della donna-come-madre, è stato detto molto, dall’approfondito al faceto, e non avrei bisogno né voglia di aggiungere qualcosa, se non mi fossi accorto che una lettura in tutt’altro ambito, e che si richiama a uno scritto del 1964, parla proprio di questo.
Quell’anno, in occasione dell'Esposizione Universale a New York, il New York Times chiese a Isaac Asimov un articolo con le sue previsioni per il cinquantennio successivo. Adesso che abbiamo superato il 2014 possiamo divertirci a vedere quanto colse nel segno, tenendo presente che le previsioni di questo tipo valgono quel che valgono e che Asimov lo sapeva più di tanti altri: l’ha fatto Kim Stanley Robinson in un articolo appunto del 2014.

Torniamo al “Fertility Day”: oltre a previsioni sul mondo del lavoro o su singole invenzioni, Asimov paventa, come principale problema per i decenni successivi, l’incremento demografico e prefigura che ci sarebbe stata «a worldwide propaganda drive in favor of birth control by rational and humane methods and, by 2014, it will undoubtedly have taken serious effect. The rate of increase of population will have slackened—but, I suspect, not sufficiently» («una propaganda a livello mondiale a favore del controllo delle nascite con metodi razionali e umani e, entro il 2014, avrà avuto sicuramente effetti significativi. Il tasso di crescita della popolazione sarà diminuito ma, sospetto, non a sufficienza»).

Robinson commenta:
So when he predicts, or calls for, a “rational and humane” method of birth control, what does he mean?  Obviously not the Chinese one-child policy, or any other top-down command from above; that’s why he added the word humane. I think his description suggests he is predicting, or calling for, a social phenomenon or movement he doesn’t have a name for.  Only in the years since have we learned that the method or movement he is attempting to describe is women’s rights and women’s prosperity. 
I say this because the legal empowerment of women has been the “rational and humane method” that has reduced population growth the most since 1964. Wherever women’s rights are solid and secure, the birth rate hovers right at or below the replacement rate (2.2 children per woman), and in countries where women’s rights were rapidly expanded, as in Thailand and Indonesia, the birth rate dropped dramatically in a single generation.  It’s now a demographic fact: women’s rights lower the birth rate.
(«Quindi quando prevede, o auspica, un metodo “razionale e umano” per il controllo delle nascite, che cosa intende? Ovviamente non la politica cinese di un figlio per coppia né altre imposizioni dall’alto: per questo usa la parola “umano”. Penso che in base alla sua descrizione preveda, o auspichi, un fenomeno o movimento sociale che non sa ancora come chiamare. Solo nel corso degli anni avremmo appreso che il metodo o movimento che cerca di descrivere sono i diritti delle donne e il benessere femminile. / Lo affermo perché l’acquisizione di potere da parte delle donne è stata il “metodo razionale e umano” che più ha ridotto la crescita della popolazione dal 1964. Ovunque i diritti delle donne siano solidi e assicurati, le nascite corrispondono al tasso zero di crescita (2,2 figli per donna) o meno, e nelle nazioni in cui i diritti delle donne si sono ampliati rapidamente, come la Tailandia e l'Indonesia, il tasso delle nascite è sceso drasticamente nel giro di una generazione. Ormai è una verità della demografia: i diritti delle donne abbassano il tasso delle nascite.») [Corsivi miei.]

Offenderei il lettore se esprimessi esplicitamente le ovvie deduzioni logiche.

martedì 6 settembre 2016

Libri usati per tutti (a Roma)

Mi sono deciso finalmente a rimettere le mani sul mio elenco ragionato di librerie dell'usato, mercatini e bancarelle di Roma in cui si possono trovare libri usati a buon prezzo.
Per un certo tempo avevo pubblicato e tenuto aggiornata la versione precedente di questo elenco su una mia pagina precedente, presso l'università in cui lavoravo. L'elenco ebbe una certa notorietà: vari mi scrissero per inviare commenti, segnalazioni, correzioni e alcune versioni anonime dello stesso elenco girano ancora per la rete, ovviamente non più aggiornate.
Ecco ora la versione, ehm, 2.0 dell'elenco di librerie usate (e il link dovrebbe essere anche qui a sinistra da qualche parte, per lo meno nella versione web), che conto di tenere aggiornato, anche perché non mi è esattamente estranea l'idea, in un momento libero o anche in un momento in cui dovrei far altro, di rilassarmi razzolando tra libri vecchi.

mercoledì 3 agosto 2016

Tre ordini di grandezza

La versione in rete della Stampa di un paio di giorni fa ha un pezzo, a firma di Marco Menduni, sugli immigrati, per lo più sudamericani, che lavorano a Torino e a Milano e nel fine settimana si organizzano per andare al mare, raggiungendo prima dell'alba un tratto di spiaggia libera a Laigueglia, in provincia di Savona.
L'interesse del pignuolo, in tutto ciò, è nel tipico caso di innumeracy (innumeratezza? anumerismo?) del giornalista. Menduni descrive il tratto di spiaggia di cui si parla: «Un fronte di 230 metri per uno sviluppo medio di 20 tra il muro della passeggiata e la riva». Perfetto, poteva benissimo fermarsi qui; invece si caccia in trappola da solo: «Quasi 5 chilometri quadrati dove, alla domenica, arrivano ad ammassarsi anche duemila persone».
Ovviamente, visto che un chilometro quadrato è un quadrato di un chilometro di lato, difficilmente ce n'entra anche uno solo in quella spiaggia; figuriamoci poi cinque.
L'errore è nell'ovvia confusione per cui un chilometro quadrato sarebbe uguale a mille metri quadrati. Speravo, ingenuamente, che non ci cascasse più nessuno.

mercoledì 15 giugno 2016

Un'intervista su MaddMaths

Per quelli fra i miei 2,5 lettori che non l'avessero già letta ma fossero interessati, segnalo che il sito MaddMaths! - MAtematica Divulgazione Didattica ha pubblicato un'intervista al sottoscritto, “Daniele A. Gewurz: traduzioni e matematica”.

Ospitano tra l'altro ritratti di persone che dopo essere stati matematici hanno cambiato in parte o in tutto strada, e quindi ci rientro anch'io.

lunedì 13 giugno 2016

Et aut E?

Che cos'hanno in comune il candidato sindaco di Roma Roberto Giachetti e l'Azienda Unità Sanitaria Locale “Roma E”? O meglio, che cos'hanno in comune le persone che curano le loro immagini grafiche?




Visto?
Sì, è proprio quella “&” che c'entra come i cavoli a merenda. Entrambi i grafici hanno pensato bene di usarla come sostituto di una semplice “E”. Peccato che non lo sia. È una “e commerciale” o, all'inglese, ampersand, ed è un simbolo che risulta dalla legatura della parola latina “et”. Quindi ha senso usarla in situazioni come “Shakespeare & Co.”, o se si presentassero insieme due candidati di nome Giach & Tti.
Ma usata come sostituto della “e” denota solo ignoranza da parte dei grafici, i quali per giunta ne hanno scelte due versioni che persino nella forma mantengono vagamente un vestigio della “t”, anziché essere “imitazioni afone della chiave di sol” (Bringhurst).

venerdì 10 giugno 2016

È una specie di discriminazione?

Fra le istruzioni per l'uso dei veicoli Enjoy (automobili e adesso anche scooter in car sharing), sezione “cosa fare e cosa non fare”, verso la fine, una è un po' delicata:



Io non avevo previsto di portare degli “anomali”, ma ora che me lo vietano mi sembra un'ingiustizia...

venerdì 6 maggio 2016

Traduttori d'altri tempi

Traduttori d'altri tempi che sanno dare il giusto valore al proprio lavoro:
Mi allontanai con il moro per il chiostro della Chiesa Madre, e lo pregai che mi traducesse in lingua castigliana quei cartabelli, tutti quelli almeno che si occupavano di don Chisciotte, senza togliere né aggiungere nulla, e mi offrii di dargli il compenso che m'avesse chiesto. Lui si accontentò di due sacchetti di uva passa e di due misure di grano, e promise di tradurli bene e fedelmente, e in pochissimo tempo; ma io per semplificare il lavoro e non perdere d'occhio quella straordinaria scoperta, me lo feci venire in casa mia, dove in poco più di un mese e mezzo me la tradusse tutta, come qui è riferito.
Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia, I parte, cap. 9, trad. di Vittorio Bodini (Einaudi).

Devo la segnalazione di questo passo a un recente seminario di Monica Palmerini su “La traduzione nel Don Chisciotte. Prospettive sul tradurre tra lingue, cultura e storia” presso la Casa delle Traduzioni di Roma.

venerdì 15 aprile 2016

Ipercorrettismi dalla Sicilia alla Cina...



...ma in realtà, ovviamente, non c'entrano né la Sicilia né la Cina, ma solo la calata romanesca e l'incertezza di chi, conscio che gli scappa spesso un “fijo” o una “maja” là dove ci andrebbe qualche “gl”, quando deve redigere una scritta per il pubblico, abbonda nel verso opposto, in modo non dissimile da quel negozio a Verona che vendeva grappe “da collezzione”.

giovedì 7 aprile 2016

Ne torse il capo ischifito

Tra le innumerevoli chiacchiere a proposito dell'aggettivo “petaloso”, mi imbatto leggendo altro nel seguente commento su un sito (non importa dov'è, anche perché se uno proprio ci tiene non ha problemi a trovarlo):
Le persone di buon gusto rifuggono non solo, ovviamente, dalle parole indecenti, ma anche da quelle che le richiamino foneticamente. Il "neologismo" inventato da questo scolaro dovrebbe essere bandito anche se fosse presente in un dizionario consolidato (Chi può capire, capisca). E invece la stessa Accademia della Crusca (insieme a giornalisti e governanti) lo esalta e osanna. Che sconforto!
Primo: suppongo che, coerentemente, lo stesso signore proponga di mettere al bando le parole “petizione”, “appetito”, “impeto”, il nome Peter e così via.

Secondo: questo tipo di interventi mi fanno sempre venire in mente quella “favola” di Gadda:
Un moralista volle vedere nel caleidoscopio: ma ne torse il capo ischifito: «Oh, oh, oh!», badava esclamare. 

lunedì 4 aprile 2016

Un pomodoro da un etto è per sempre

Sul Venerdì di Repubblica del 1° aprile 2016 (no, niente pesci; sì, so che non dovrei leggere niente che abbia a che fare con la Repubblica, ma qui c'era una recensione che mi interessava) leggo all'interno di una notiziola a firma di Martina Saporiti a proposito di un metodo per «produrre elettricità dai pomodori»:
L'efficienza della cella è bassa (da 10 milligrammi si ottengono 0,3 watt, per una lampadina da 60 watt ne servono 200), ma si conta di perfezionare presto il procedimento.
Qui ci sono due cose che non vanno.

La cosa peggiore è che con 10 milligrammi di qualsiasi cosa, dall'uranio alla palta, si possono ottenere 0,3 watt: basta non specificare per quanto tempo.
Il watt è un'unità di potenza, cioè di energia per unità di tempo. Tanto come promemoria: sulla bolletta – oltre ad altre cose – è indicata l'energia consumata, espressa in kilowattora; i (kilo)watt indicano invece la potenza impegnata, quella messa a disposizione dal fornitore. Quindi, se a casa, come molti, avete una potenza impegnata di 3 kW, vuol dire che potete sostituire per sempre l'allaccio alla rete elettrica con un pomodoro da un etto.

In soldoni, dire che con 10 milligrammi di qualcosa si ottengono 0,3 watt è né più né meno che dire che con un litro di benzina si va a 100 chilometri all'ora. Sì, sarà senz'altro vero: ma per un minuto o per un'ora?

Bisogna dire che l'errore è dovuto niente meno che all'American Chemical Society, che nel suo comunicato – ripreso quasi alla lettera da varie fonti di informazione – annota enigmaticamente appunto che 10 milligrams of tomato waste can result in 0.3 watts of electricity. Quindi la Saporiti, nel non accorgersene e nel non fare i debiti controlli, è in buona compagnia: Newsweek, CNN etc.

(Cercando quale fosse il vero dato, trovo che al momento attuale non c'è una pubblicazione su questo risultato, che è solo stato presentato a un congresso dell'ACS. Nella presentazione non si menziona questo dato; la cosa più simile è che da un metro quadrato di “electrosurface” si ricavano 7 watt. Suppongo che sia una superficie che viene via via alimentata, così come, mutatis mutandis, un pannello solare: e lì va benissimo, anzi, è l'unica, associargli una potenza erogata.
Facendo qualche conto in un angolo di un foglio usato, vedo che cosa succede se “watt” stesse per “watt-ora”: un'energia specifica di 0,3 Wh/10 mg equivale, in unità più usuali, a circa 108 MJ/kg, che è qualcosa come il doppio di quella del metano usata come combustibile. Troppo, decisamente. Quindi? Watt-secondo? Boh.)

Quello che invece è farina del sacco della Saporiti è la proporzione sbagliata: 0,3 sta a 10 come 60 sta a 2000, non 200.

martedì 2 febbraio 2016

Da Parks a Dante, passando per Levi

Chi si interessa di traduzione, in particolare in e dall’inglese, avrà quasi certamente già visto l’articolo “In the Tumult of Translation” di Tim Parks apparso nella New York Review of Books. Parks, col suo piglio abituale, dice la sua sulla nuova traduzione inglese di Se questo è un uomo di Primo Levi apparsa nella recente edizione dei Complete Works leviani, la prima completa in inglese. La traduzione di questo testo è di Stuart Woolf, che ha rimesso mano, dopo decenni, alla sua stessa versione del 1959.

Parks solleva vari punti interessanti e spesso condivisibili, pure per chi come il sottoscritto non è un madrelingua inglese e quindi non si azzarda a entrare nel merito delle sfumature di una resa nella lingua d’Oltremanica.
Un aspetto che giustamente sottolinea più volte è che quando il tono dell’originale di Levi è quotidiano o quasi dimesso va reso come tale anche in inglese, mentre pare che la traduzione di Woolf a volte si lasci tentare da scelte lievemente più elevate (per esempio per rispecchiare una radice lessicale o una costruzione sintattica italiana, ottenendo un risultato che in inglese suona troppo “alto”).

Trovo però che, tra i casi che porta, non sempre Parks colga nel segno. Un esempio per tutti: prendiamo un passo di Levi citato e approfondito da Parks:
Molti, bestialmente, orinano, correndo per risparmiare tempo, perché entro cinque minuti inizia la distribuzione del pane, del pane-Brot-Broit-chleb-pain-lechem-kenyér, del sacro blocchetto grigio che sembra gigantesco in mano del tuo vicino e piccolo da piangere in mano tua.
(Per inciso, la virgola dopo “orinano” pare sia assente nell’originale di Levi.)
La versione di Woolf del 1959 – da cui quella recente si discosta solo per qualche dettaglio – è:
Some, bestially, urinate while they run to save time, because within five minutes begins the distribution of bread, of bread-Brot-Broid-chleb-pain-lechem-keynér, of the holy grey slab which seems gigantic in your neighbour’s hand, and in your own hand so small as to make you cry.
Parks ha da ridire su vari punti e contropropone, pur con qualche mano avanti:
To save time many are urinating as they run, like animals, because in five minutes they’ll be handing out the bread, Brot-Broid-chleb-pane-pain-lechem-keynér, that sacred gray slab that looks so huge in the hands of the man next to you and so small you could cry in your own.
Tra altre obiezioni (come il fatto che era sparito del tutto “pane” in italiano, oppure “of bread” rispetto a “of the bread” etc.), uno dei punti contestati è la resa di “bestialmente” con “bestially”. Commenta Parks: «Bestialmente can be used in Italian to mean simply, like an animal» e in parte sarà anche vero, magari più per il sostantivo “bestie” (che in effetti può benissimo essere usato da un allevatore per parlare delle proprie pecore, per esempio) che per l’aggettivo e l’avverbio. Ma se Levi avesse voluto dire “come animali” o “come fanno gli animali”, avrebbe detto... “come animali” o “come fanno gli animali”. Invece sceglie un termine ben più carico, quasi violento.
Non solo: quella formulazione, con le parole in un ordine che non è il più naturale per la frase, con le virgole (una più o una meno che siano) che spezzano il ritmo e lo rendono affannoso, non è certo il “grado zero” tra i modi di dire quelle cose, bensì è un attacco fortissimo, con un empito quasi dantesco («Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia»), e Levi non è che fosse del tutto ignaro di Dante.
E, a mo’ di controprova: come usa Dante “bestia” e “bestiale”? Nel suo corpus compaiono numerose volte, il primo nella stragrande maggioranza dei casi in senso figurato, e – cosa paradossalmente più significativa – le poche volte che lo usa riferito ad animali veri o immaginari, è per parlare della lupa della selva oscura, del minotauro e del mostruoso Gerione. E “bestiale” «è sempre riferito all’uomo, ai suoi costumi, alle sue azioni, con varie sfumature semantiche» (Enciclopedia Dantesca, s.v.), come per esempio quando Vanni Fucci descrive le proprie malefatte: «Vita bestial mi piacque e non umana».

In ogni caso l'articolo di Parks merita senz'altro un'attenta lettura, e finisce pure con un cliffhanger.

giovedì 21 gennaio 2016

Arnaldo Daniello, trovatore d'oltremanica

Se vi siete mai chiesti che cosa stia all’inglese come il provenzale sta all’italiano, andate avanti nella lettura. Se no, pure, perché è giunto il momento di chiederselo.

Secondo alcuni sarebbe bene che ogni opera letteraria venisse tradotta più di una volta nella stessa lingua, per averne più “interpretazioni” (in tutti i sensi) a disposizione.

Come che sia per i testi moderni, questo accade di sicuro per i classici, e permette a chi torna su un testo già tradotto e ritradotto di sbizzarrirsi un poco. E permette in particolare a Dorothy L. Sayers, apprezzata giallista che si apprezzava più come dantista, di reinventare le parole che Arnaldo Daniello, trovatore provenzale, pronuncia nel Purgatorio dantesco in provenzale.

Ricordo che alla fine del ventiseiesimo canto, dopo che Dante ha conversato con Guido Guinizelli, che gli ha presentato Daniello come “miglior fabbro del parlar materno”, il trovatore prende a parlare “liberamente”:
Tan m’abellis vostre cortes deman,
qu’ieu no me puesc ni voill a vos cobrire.
Ieu sui Arnaut, que plor e vau cantan;
consiros vei la passada folor,
e vei jausen lo jorn qu’esper, denan.
Ara vos prec, per aquella valor
que vos condus al som de l’escalina,
sovenha vos a temps de ma dolor!
Questa è l’edizione di Natalino Sapegno, che «per questi versi, assai malconci nei manoscritti» differisce in un paio di punti da altre.
Sapegno traduce così: «Tanto mi piace la vostra cortese domanda, che non mi posso né voglio a voi celare. Sono Arnaldo, che piango e vo cantando; afflitto contemplo la mia passata follia, e vedo, gioioso, innanzi a me il giorno che spero. Ora vi prego, per quel valore che vi conduce al sommo della scala, vi sovvenga a tempo del mio dolore».

L’invenzione della Sayers consiste nel renderle in scozzese: lo Scots – da non confondere con l’inglese di Scozia e tanto meno col gaelico –, la lingua in cui sono scritte varie poesie di Burns («
The best-laid schemes o' mice an' men / Gang aft agley...»). Più precisamente, il Daniello della Sayers si esprime in “Border Scots”, parlato nel sud della Scozia.
Lei stessa chiarisce in una nota il senso della sua scelta:
Dante has made the poet reply in his native Provençal: partly, no doubt, in compliment to Arnaut’s “mastery of his mother-tongue”; partly, one may guess, in order to display his own facility in the “langue d’oc”; but chiefly, I am sure, because the light French vowels and monosyllabic rhymes impart a peculiar tripping gaiety to the verse and because the unexpected change of language lends an engaging sense of difference to this, the last exchange of speech with the souls in Purgatory. In order to preserve something of this lightness and contrast, I have translated the speech into Border Scots – a dialect which bears something of the same relation to English as Provençal does to Italian.
(Traduzione “di servizio” mia: «Dante fa rispondere il poeta nella sua lingua nativa, il provenzale: in parte, sicuramente, come omaggio al fatto che Arnaut fu il “miglior fabbro del parlar materno”; in parte, possiamo immaginare, per dar mostra della sua dimestichezza con la langue d’oc; ma soprattutto, ne sono certa, perché le vocali leggere e le rime accentate dell’idioma francese concedono una specifica leggerezza alle terzine e perché l’inatteso cambiamento di lingua permea di un piacevole senso di differenza quest’ultimo dialogo con le anime del purgatorio. Per conservare qualcosa di questa leggerezza e di questo contrasto, ho tradotto le parole di Arnaut in scozzese del sud, un dialetto che ha con l’inglese un rapporto vagamente simile a quello che il provenzale ha con l’italiano».)

Ed ecco i versi della Sayers: 


Sae weel me likes your couthie kind entratin’,
I canna nor I winna hide fra’ ye;
I’m Arnaut, wha gae singin’ aye and greetin’;
Waefu’ I mind my fulish deeds lang syne,
Lauchin’ luik forrit tae the bricht morn’s meetin’.
Pray ye the noo, by yonder micht that fine
Sall guide ye till the top step o’ the stair,
Tak’ timely thocht for a’ my mickle pine.

Poi s’ascose nel foco che li affina.