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Ricordo rapidamente che un “meme”, concetto creato da Richard Dawkins, è una qualsiasi specifica idea, vista come elemento culturale che si può trasmettere da una persona all'altra: una parola, un modo di dire, un modo di fare, un'immagine, un concetto. Il nome parafrasa volutamente il “gene”, di cui è per così dire la controparte culturale: entrambi si replicano, si trasmettono, si modificano, per quanto su supporti diversi e in modi fisici diversi, così come di entrambi sono state studiate le fasi dell'esistenza, quasi come esseri viventi.
Ora, in tempi recenti, molti usano la parola “meme” esclusivamente per riferirsi a quelle immagini buffe che girano e sono molto apprezzate in rete, spesso ottenute sovrapponendo una battuta a un fotogramma di un film o a una foto di un gatto. Ho presente gente che pensa che sia questo il senso di meme (e, se lo diventerà definitivamente, il senso originario del meme “meme” sarà scomparso in un modo che al confronto quello dei dinosauri è da poema cavalleresco).
Il problema formale è che qualcuno pronuncia la parola alla (pseudo)inglese (“miim” o simili), ma soprattutto che molti la usano come parola invariante (“i meme”), buttando ulteriormente via il parallelo anche lessicale con “gene”, di cui fino a prova contraria il plurale è ancora “geni”.
però "meme" suona bene, "memi" mi ricorda "a me mi piace"...
RispondiEliminaSpero allora che ti suonino bene anche “i gene”, “i rene”, “i seme”... :)
EliminaQuelle non sono parole con due sillabe uguali!
RispondiEliminaLa "pasta e ceci" d'ora in poi la chiameremo "pasta e cece"
Elimina(comunque io predico male e razzolo bene: in Scimmie digitali ho scritto sempre "memi")
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