martedì 25 febbraio 2025

Traduttori traditori V

Nella recente e pregevole serie televisiva Ripley del 2024, a un certo punto del 2° episodio, un personaggio (uomo) sospetta che un altro personaggio (uomo) gli stia facendo delle avances, e decide di mettere le cose in chiaro, dicendo: “I'm not queer”.


Ora, negli anni in cui si svolge la vicenda – il romanzo The Talented Mr Ripley di Patricia Highsmith è del 1955, la serie è ambientata nel 1960 – il termine “queer” è senza dubbio spregiativo. Quel personaggio sta dicendo: “Non sono frocio” o, pure meglio perché è meno volgare e più datato, “Non sono un invertito”.

Nel doppiaggio italiano, però, dice: “Non sono queer”, che non ha alcun senso. In primo luogo, nel 1960 nessun parlante italiano avrebbe usato questo termine, fra i numerosi con cui avrebbe potuto fare riferimento all'omosessualità. In secondo luogo, quando oltre trent'anni dopo il termine è entrato in uso nell'italiano (nel 1992, secondo lo Zingarelli) aveva già per lo più il significato “sdoganato” con cui la comunità LGBT l'aveva recuperato, e quindi non più offensivo, e sicuramente non lo è oggi come invece lo era nell'inglese di più di sessant'anni fa.

Quindi abbiamo l'apparente paradosso che usare la stessa identica parola è il modo meno appropriato per tradurla. Il che però non è neanche un grande paradosso, considerando i decenni intercorsi, nonché il fatto che l'italiano è spesso un po' allegrotto nell'adottare termini inglesi: feeling, ticket, body, spider...