venerdì 11 luglio 2025

Chi ha più energia?

M'è capitato, per una qualche associazione di idee, di pormi il seguente problema: quale veicolo ha, al massimo della propria velocità, la maggior energia cinetica?

Sono cose che capita di chiedersi, no? Lo spunto era, durante una conversazione, un confronto tra quanto può far male agli altri un ciclista ubriaco o distratto rispetto a un automobilista nelle stesse condizioni. Il ciclista e la sua bici peseranno qualcosa come 10 volte meno di un'automobile con chi la guida, e andranno a una velocità che può essere anch'essa 10 volte inferiore. Quindi l'energia cinetica del ciclista e della bici sarà qualcosa come un millesimo di quella dell'auto con chi c'è sopra.

Non insulterò i miei 2,5 lettori ricordando loro che l'energia cinetica di un oggetto con massa m e velocità v è data da ½mv². La cosa importante è che l'energia cinetica aumenta linearmente con la massa, ma quadraticamente con la velocità. Cioè, per esempio, un oggetto che ha massa tripla di un altro, a parità di tutto il resto ha anche il triplo dell'energia cinetica. Invece un oggetto che si muove a velocità tripla di un altro, a parità di tutto il resto ha un'energia cinetica nove volte maggiore.

Quindi, qual è il veicolo con la maggiore energia cinetica? Ce ne sono di grossi e di veloci, tra treni, navi, aerei e altro. Chi vincerà?

Per cominciare proviamo con la Yamato, che ci sta sempre bene. La più grande corazzata di tutti i tempi sembra un buon candidato. Aveva un dislocamento a pieno carico di circa 72.000 tonnellate, e una velocità massima di 27 nodi, cioè circa 50 km/h. Bella grossa ma lentina, si direbbe. Vediamo un po' il risultato.

Per fare le cose per bene, è meglio usare unità del sistema internazionale, e cioè chilogrammi per le masse e metri al secondo per le velocità. In queste misure i nostri dati sono m = 7,2⋅10^7 kg e v = 14 m/s (approssimo tutto con due cifre significative). Quindi:
E = 0,5 ⋅ 7,2 ⋅ 10^7 ⋅ (14)^2 kg⋅m²/s² ≈ 7 ⋅ 10^9 joule.
Sette miliardi di joule. Buono a sapersi, anche se la cosa non ci dice moltissimo, perché non siamo abituati a ragionare in joule e, più in generale, non siamo molto bravi a confrontare energie. Una bomba a mano che esplode sviluppa meno energia dell'assimilazione di due Big Mac: davvero? Due pile stilo alcaline contengono poca più energia di un grammo di proteine o carboidrati: pensa un po'. È tutto vero, ma è anche in buona parte privo di senso perché parliamo di forme di energia molte diverse (anche se confrontabili una volta che le esprimiamo tutte nella stessa unità), e soprattutto di roba, come gli alimenti, di cui difficilmente sfruttiamo appieno il contenuto energetico.
E allora facciamo qualche confronto tra cose simili, e prendiamo un'altra nave. La TT Seawise Giant era un'enorme petroliera, più lunga di quant'è alto l'Empire State Building, così grande che non solo non poteva navigare attraverso il canale di Suez o di Panama, ma neppure per la Manica. Cambiò varie volte uso e nome, ma ha detenuto vari primati o ci è andata molto vicina. Il suo dislocamento di circa 650.000 tonnellate è, a seconda delle fonti, il massimo assoluto o quasi. Ce lo facciamo bastare. Ovviamente era ancora più lentina della Yamato, anche perché in genere non era coinvolta in battaglie navali: circa 16 nodi (circa 30 km/h).
Con questi dati troviamo un'energia cinetica pari a qualcosa come 2,2 ⋅ 10^10 joule, più di tre volte la Yamato: niente male.
La Seawise Giant (o qualcuna delle sue simili) era anche il veicolo con la massa più elevata. Ma visto che, come si diceva, la velocità va elevata al quadrato, che succede se prendiamo un veicolo molto più leggero ma anche molto più veloce? Un buon candidato sembra un aereo grossetto e veloce, come per esempio l'Airbus A380.


È il più grande aereo passeggeri al mondo, con due piani per i suoi quasi 80 metri di lunghezza, può portare più di 850 persone, decollare con un peso massimo di 575 tonnellate (di cui quasi metà di carburante) e raggiungere l'89% della velocità del suono (cioè circa 950 km/h).
Barando un po' e facendo finta per tenerci larghi che con quella massa possa raggiungere la velocità massima, troveremmo una cosa curiosa: che la sua energia cinetica è circa 2 ⋅ 10^10 joule, pochissimo meno della nostra superpetroliera. L'A380 ha una massa che è meno di un millesimo (vorrei sottolineare questo fatto: esistono petroliere che pesano come mille dei più grandi aerei di linea del mondo), ma ha una velocità massima che è più di trenta volte quello della nave. E visto che “più di trenta” al quadrato fa circa mille, le due cose si compensano e fanno sì che la superpetroliera e il superaereo, lanciati al massimo delle rispettive possibilità, abbiano circa la stessa energia cinetica.
Per curiosità, pur sapendo che sarebbe stato difficile battere questi primati, ho provato a vedere che cosa succedeva con qualche altro veicolo estremo, come il treno più pesante o il più veloce. Il primo è un convoglio speciale (ma ce ne sono di più usuali non meno impressionanti) della compagnia ferroviaria australiana BHP, che nel 2011 con un treno lungo più di 7 chilometri composto da oltre 600 vagoni trasportò 82.000 tonnellate di minerale di ferro: con il treno stesso – comprese le sue otto locomotive – si era poco sotto le 100.000 tonnellate. Ovviamente arrancava, procedendo a circa 26 chilometri all'ora. Per inciso, questo significa non solo che i ciclisti in gamba lo sorpassavano, ma anche che se uno stava fermo a guardarlo passare, si poteva godere lo spettacolo per più di un quarto d'ora.

Ora, ha una massa che è meno di un settimo di quella della Seawise Giant, una velocità lievemente inferiore, e quindi non c'è gara: ha un'energia cinetica di circa 2,5 ⋅ 10^9 joule, più o meno un decimo della petroliera. Ha ancora meno chance il treno più veloce del mondo l'SC Maglev giapponese che va sì bello veloce per essere un treno (oltre 600 km/h), ma pur sempre meno di molti aerei, ed è anche molto leggero (rispetto ai pesi massimi che abbiamo visto) e con le sue circa 25 tonnellate raggiunge un'energia che è poco più di un decimo del suo fratellone australiano.
Per curiosità ho cercato anche l'“automobile” con il primato di velocità. È la britannica Thrust SSC, che con due motori a reazione ha raggiunto i 1228 km/h. E visto che non è una 500, bensì pesa la sua decina abbondante di tonnellate, si piazza decorosamente: ha un'energia cinetica di più di mezzo miliardo di joule, oltre un quinto dell'enorme treno australiano. Forse non si direbbe; è proprio in casi così che si nota bene l'importanza del fatto che la velocità è elevata al quadrato.
Ma tutto questo, persino le decine di miliardi di joule dell'Airbus e della Seawise Giant, impallidisce completamente di fronte all'asso che serbavo nella manica: la Stazione Spaziale Internazionale. È un po' l'uovo di Colombo: persino non conoscendo i dettagli ma buttandosi a indovinare, si può immaginare che un coso che orbita intorno alla Terra varie volte al giorno (per la precisione 15,5) andrà bello veloce. Ed eccoli, i dettagli: ha una massa di circa 450 tonnellate (meno dell'A380, ma comunque più di moltissimi aerei di linea), ma soprattutto sfreccia a quasi 8 chilometri al secondo. Tutto ciò significa che ha un'energia cinetica pari a circa 1,3 ⋅ 10^13 joule, cioè circa seicento volte quella della nostra superpetroliera.


Quindi, non solo navi e aerei in realtà non avevano nessuna possibilità di vincere, ma la velocità orbitale a quella quota (circa 420 chilometri) è tale che basterebbe anche un oggetto molto più piccolo. Una vecchia Panda con un paio di persone a bordo, inserita in quell'orbita, batterebbe comodamente qualsiasi altro veicolo, quanto a energia cinetica.
Se può servire a consolare chi ama o progetta aerei e navi: qui c'è il trucco, perché tutti gli altri veicoli di cui abbiamo parlato vanno a motore, e spesso a molti motori. Invece la Stazione Spaziale bara perché si limita a cadere. Come qualsiasi oggetto naturale o artificiale in orbita attorno alla Terra, cade perpetuamente verso il pianeta, ma ha al contempo una velocità orizzontale che compensa perfettamente la “caduta” e la mantiene – in prima approssimazione – sempre alla stessa distanza dalla Terra.

lunedì 26 maggio 2025

Teach yourself Euskera


Forse c'è un motivo se il basco non è una delle cinque lingue più diffuse al mondo.

martedì 13 maggio 2025

La zia di Dossena

Sicuramente i miei 2,5 lettori conoscono bene Giampaolo Dossena, scrittore, giornalista e soprattutto esperto di giochi, ai quali dedicò libri e rubriche su periodici. La zia era assatanata, del 1988, raccoglieva e rielaborava appunto “i giochi che facev[a] su ‘La Stampa’ di Torino”. Dopo la prima edizione edita da Theoria e quella dell'anno successivo per il CDE, Club degli Editori, nel 1990 il libro riapparve in forma riveduta nella BUR.

In una nota alla fine di questa edizione Dossena riporta tra l'altro il testo del risvolto di copertina da lui scritto per le prime due edizioni, che “subì modifiche e tagli redazionali”. È divertente (per il pignuolo) confrontare il testo riportato da Dossena con quello limato dagli editori romani.

Sono state eliminate alcune ripetizioni, evidentemente in nome di quella che il linguista Massimo Palermo chiama “coazione a variare” (nel sottotitolo del suo Tanto per cambiare, dedicato proprio a questo fenomeno). E il bello è che questo succede proprio in una frase in cui la ripetizione era segnalata e chiaramente voluta. Scrive Dossena (corsivi miei per evidenziare la ripetizione quasi anaforica di “forse”):

Alcuni, oggi autori laureati, col tempo e con la paglia diventeranno forse Carneadi, mentre altri, fra i miei oscuri lettori d'oggi e di ieri, entreranno forse nelle antologie scolastiche. Forse non c'è confine tra Poeti e Folla Solitaria. Dico, ripeto «forse» perché non sono il tipo che coltiva pensieri così alti, e forse pensare confonde le idee.

Rielabora l'anonimo redattore (corsivi miei per evidenziare le principali differenze):

Alcuni, oggi autori laureati, col tempo e con la paglia diventeranno forse Carneadi, mentre altri, fra i miei oscuri lettori d'oggi e di ieri, entreranno magari nelle antologie scolastiche. Forse non c'è confine tra Poeti e Folla solitaria. Ripeto «forse» perché non sono il tipo che coltiva pensieri così alti, e poi pensare confonde le idee.

Più che sottolineare esplicitamente il fatto che stava ripetendo, c'è da chiedersi che cos'avrebbe potuto fare, povero Dossena.

L'altra pignoleria è più sottile, una differenza di una singola lettera, che fa pensare che l'anonimo redattore non avesse proprio capito cosa scriveva Dossena e avesse pensato bene di “correggerlo”, piuttosto che sforzarsi di comprendere una parola usata in modo lievemente insolito. Parlando dei giochi che proponeva, Dossena scrive: “Ho riordinato l'anamnesi delle infezioni mentali da me inoculate, con successi a volte epidemici”. Ritenendo i miei 2,5 lettori più svegli di Anonimo Redattore, non spiegherò la metafora, commentando solo che quell'“epidemici” anticipava argutamente la diffusione del concetto e del termine “virale”.

La versione apparsa nelle prime due edizioni capovolgeva quasi il senso, parlando invece di “successi a volte epidermici”...

venerdì 9 maggio 2025

Misuro le ore disuguali su Prisma

Per chi fosse interessato, anche nel numero di maggio 2025 c'è un mio articolo su Prisma Magazine, questa volta sulle meridiane a ore disuguali.

Come era possibile misurare il tempo con una meridiana quando le ore non avevano la stessa lunghezza tutto l'anno ma erano definite come un dodicesimo delle ore di sole, dall'alba al tramonto?

E un mucchio di altra roba interessante, ovviamente.

mercoledì 30 aprile 2025

Salutazione a Venezia

Che cos'hanno di speciale questi versi? La risposta nel primo commento, per chi ha voglia di provare a pensarci.

Te saluto, alma Dea, Dea generosa,
O gloria nostra, o veneta regina!
In procelloso turbine funesto
Tu regnasti secura: mille membra
Intrepida prostrasti in pugna acerba.
Per te miser non fui, per te non gemo,
Vivo in pace per te. Regna, o beata!
Regna in prospera sorte, in pompa augusta,
In perpetuo splendore, in aurea sede.
Tu serena, tu placida, tu pia,
Tu benigna, me salva, ama, conserva!

mercoledì 23 aprile 2025

Proust e la crittografia


Segnalo un (per me) inaspettato riferimento proustiano.

Parlando dell'alta società frequentata da Swann, il narratore menziona una Madame de Gallardon che è lontanamente imparentata con l'importante famiglia dei Guermantes, che però non se la filano. Lei da una parte cerca di convincere gli altri, e giunge a convincere sé stessa, che è lei a non desiderare questa frequentazione. Dall'altra:

Si on avait fait subir à la conversation de Mme de Gallardon ces analyses qui en relevant la fréquence plus ou moins grande de chaque terme permettent de découvrir la clef d'un langage chiffré, on se fût rendu compte qu'aucune expression, même la plus usuelle, n'y revenait aussi souvent que « chez mes cousins de Guermantes », « chez ma tante de Guermantes », « la santé d'Elzéar de Guermantes », « la baignoire de ma cousine de Guermantes ».

(Traduzione mia: «Se si fosse sottoposta la conversazione di Madame de Gallardon a quelle analisi che individuano la frequenza più o meno elevata di ogni termine, permettendo di scoprire la chiave di un messaggio cifrato, ci si sarebbe resi conto che nessuna espressione, neppure la più abituale, ricorreva spesso quanto “dai miei cugini Guermantes”, “da mia zia Guermantes”, “la salute di Elzéar de Guermantes”, “la barcaccia della mia cugina Guermantes”».)

Mi chiedo che cosa si sappia di un'eventuale dimestichezza di Proust con la crittografia. Con una ricerca cursoria, vedo che esiste almeno uno studio che interpreta l'intera Recherche come un messaggio cifrato: Thierry Marchaisse, Le théorème de Proust. Une cryptanalyse de la “Recherche”, Éditions Thierry Marchaisse 2022. Qui se ne può leggere una recensione di Caterina Palmisano. Forse è pertinente anche Les Sens cachés de la Recherche di Alberto Beretta Anguissola (Classiques Garnier 2024), un cui capitolo si intitola «Qu'est-ce qu'un cryptotexte?».

martedì 25 marzo 2025

Libri usati a Roma


Segnalo, in ideale pendant con la mia paginetta su “Librerie dell'usato, bancarelle e mercatini a Roma”, un bell'articolo di Augusto Monterroso su Collettiva a proposito del fatto che Le librerie dell’usato di Roma sono un presidio culturale.

L'articolo ricorda i tempi in cui a Roma c'era una cinquantina di librerie dell'usato oltre alle bancarelle, poi le chiusure o trasferimenti progressivi e adesso alcune lodevoli iniziative, come “Esquilibri”, mostra-mercato mensile sotto i portici di piazza Vittorio, che ha tra gli animatori Michelle Müller della storica libreria Libri Necessari.

(Rubo anche l'immagine da Collettiva...)




martedì 11 marzo 2025

Misuro il cielo su Prisma

A quelli fra i miei 2,5 lettori che non lo sanno già, e a cui possa interessare, segnalo il nuovo numero di Prisma Magazine, con un mio articolo di cui sono soddisfatto. Il mio titolo provvisorio era poco sintetico: “Come misurare il cielo con poca tecnologia e un po' di matematica”; trovo calzante il titolo definitivo “La misura del cielo”. Parlo di alcuni dei sistemi a bassissima tecnologia (pre-cannocchiale, pre-sestante) per fare osservazioni astronomiche, soprattutto per determinare la propria latitudine.

Ma c'è moltissimo altro di interessante. Si può acquistare cartaceo in edicola o in pdf sul sito della rivista.

martedì 25 febbraio 2025

Traduttori traditori V

Nella recente e pregevole serie televisiva Ripley del 2024, a un certo punto del 2° episodio, un personaggio (uomo) sospetta che un altro personaggio (uomo) gli stia facendo delle avances, e decide di mettere le cose in chiaro, dicendo: “I'm not queer”.


Ora, negli anni in cui si svolge la vicenda – il romanzo The Talented Mr Ripley di Patricia Highsmith è del 1955, la serie è ambientata nel 1960 – il termine “queer” è senza dubbio spregiativo. Quel personaggio sta dicendo: “Non sono frocio” o, pure meglio perché è meno volgare e più datato, “Non sono un invertito”.

Nel doppiaggio italiano, però, dice: “Non sono queer”, che non ha alcun senso. In primo luogo, nel 1960 nessun parlante italiano avrebbe usato questo termine, fra i numerosi con cui avrebbe potuto fare riferimento all'omosessualità. In secondo luogo, quando oltre trent'anni dopo il termine è entrato in uso nell'italiano (nel 1992, secondo lo Zingarelli) aveva già per lo più il significato “sdoganato” con cui la comunità LGBT l'aveva recuperato, e quindi non più offensivo, e sicuramente non lo è oggi come invece lo era nell'inglese di più di sessant'anni fa.

Quindi abbiamo l'apparente paradosso che usare la stessa identica parola è il modo meno appropriato per tradurla. Il che però non è neanche un grande paradosso, considerando i decenni intercorsi, nonché il fatto che l'italiano è spesso un po' allegrotto nell'adottare termini inglesi: feeling, ticket, body, spider...


martedì 7 gennaio 2025

In un modo imprecisato e arrangiandosi alla bell’e meglio?

Ecco una questione in cui mi imbatto qualche volta traducendo, e qui metto a verbale le mie conclusioni, per comodità.

La questione è questa: l'inglese somehow si può rendere con l'italiano “in qualche modo”? Se vi sembra ovvio di sì oppure di no, vi prego di pazientare un attimo.

In prima approssimazione può sembrare appunto che il significato sia quello, e il modo per renderlo pure. Tra l'altro è il primo traducente suggerito dal Ragazzini, che alla voce somehow dà:

in qualche modo; in un modo o nell'altro; per qualche motivo; per un motivo o per l'altro

Il senso, a parte la resa in italiano, è che qualcosa è stato fatto in una maniera (o per un motivo) che non staremo a precisare.

D'altro canto le lingue naturali hanno una vita tutta loro e in italiano “in qualche modo” ha assunto anche una connotazione più specifica. Per citare la voce corrispondente del dizionario di De Mauro, questa accezione si può descrivere come:

cercando di risolvere una situazione, un problema anche in modo non ortodosso, arrangiandosi alla bell’e meglio: in qualche modo ce la faremo.

(Il Grande dizionario della lingua italiana dà già una definizione – o anzi, più d'una – meno specifica: “secondo le possibilità; in conformità con le attitudini possedute, con i mezzi disponibili; convenientemente, discretamente, passabilmente. - Anche: in qualsiasi maniera, con qualsiasi mezzo, comunque”.)

Questo può far ritenere che quindi “in qualche modo” non sia un buon traducente per il più generico somehow. La mia tesi è invece che, al di là di questo uso che descrive un arrangiarsi come capita, quelle tre parole in fila continuino a mantenere anche il loro significato letterale.

Succede con molte frasi fatte. Nel Mago di Oz con Judy Garland, Bert Lahr faceva la parte del leone, nonostante non primeggiasse tanto da lasciare in ombra gli altri. Se di notte alzo lo sguardo al cielo vedo le stelle, anche se non mi fa male niente. Ma anche lasciando da parte il linguaggio figurato, ci sono espressioni come “per la quale” o “sulle sue”, che hanno un senso specifico idiomatico, ma si possono continuare a usare come normali sequenze di parole italiane.

Dico quindi che “in qualche modo” possa usarsi sia nel senso letterale (in una maniera imprecisata) che in modo idiomatico (arrangiandosi alla bell’e meglio). E chiamo a miei testimoni del primo uso, tra gli altri, Leopardi (“Una parola o frase difficilmente è elegante se non si ap­parta in qualche modo dall’uso volgare”, Zibaldone, 1154) e Manzoni (“se [l'idea del fiore] è nella mente, in qualche modo ci dev’essere. In che modo c’è, dunque?”, dialogo Dell'invenzione).

Il Grande dizionario della lingua italiana usa la locuzione nel senso che intendo io persino “in prima persona”, cioè nel corpo di una definizione piuttosto che in un esempio. All'interno della voce Moralità (vol. 10, p. 873), spiega che cosa sono i delitti contro la moralità pubblica e il buon costume (corsivo mio):

nella sistematica del vigente codice penale (Titolo IX), i delitti che in qualche modo attengono alla sfera sessuale (cioè i delitti contro la libertà sessuale, come violenza carnale, atti di libidine violenta, ratto a fine di matrimonio o a fine di libidine, ecc.; offese al pudore e all’onore sessuale, come i delitti di atti osceni, di pubblicazioni e spettacoli osceni, di corruzione di minorenni e i delitti in materia di prostituzione).

Direi quindi che sia il contesto a chiarire se una certa occorrenza di “in qualche modo” abbia il senso letterale dato da quelle tre parole o quello di “arrangiandosi alla bell’e meglio” e simili.

sabato 4 gennaio 2025

Pococurante

Solo qualche osservazione su una parola insolita, “pococurante”.

Apparentemente in italiano è un hapax usato da Primo Levi in La tregua, là dove descrive “un medico, Pjotr Grigorjevič Dancenko, giovanissimo, gran bevitore, fumatore, amatore e pococurante”. In quest’ultima qualifica c’entrerà anche il fatto che si parla di un medico, visto che c’è la radice “curare”, ma mi sembra fuori strada pensare che si riferisca solo a questo, e quindi a una sua scarsa capacità nella professione (uno che “cura poco”). Ne pare convinto Tim Parks che, criticando le traduzioni di Stuart Woolf e di Ann Goldstein, contrappone ai loro a negligent person e indifferent to the job, rispettivamente, il proprio but not much of a medic.

Ora, sono certo che nella mente di Levi, come di qualsiasi italiano colto, c’erano le parole “noncurante” e “incurante”, che certamente non hanno a che fare con la medicina, ma denotano solo un certo tipo di carattere e non necessariamente in modo solo negativo. Il termine nuovo o raro serve qui per scherzare bonariamente sullo scarso impegno del dottore in generale, non solo specificamente nella professione.

Ma c’è di più. Levi non include Voltaire nel novero degli autori di cui si riconosce debitore in La ricerca delle radici, ma il mondo non gli crede, in particolare per quanto riguarda i contes philosophiques come Micromégas e Candide, e fa bene. C’è un personaggio proprio del Candide, un nobile veneziano annoiato dai suoi meravigliosi averi, opere d’arte, donne, libri, che si chiama appunto Pococurante. E qui non c’è dubbio che il nome si riferisca appunto al suo essere blasé, annoiato, come superiore a tutto ciò: si mostra disinteressato ai grandi poeti da Omero ai contemporanei, e “Au reste je dis ce que je pense, et je me soucie fort peu que les autres pensent comme moi”. Solo Candide, nel suo ottimismo ad oltranza, ci vede “le plus heureux de tous les hommes, car il est au-dessus de tout ce qu’il possède”.