Succede di avere prevenzioni irrazionali verso cose che, appena le si prova (ascolta, assaggia, compie) si rivelano meno sgradevoli del previsto, e magari anche piacevoli.
A me succede, per esempio, con la crema pasticciera. Sono convinto che non mi piaccia: se c'è da scegliere tra vari cornetti (cioè brioche, per voi lassù a nord), prendo quello con la crema solo se sono finiti quelli con la nutella, la marmellata, semplici, integrali, sperimentali. Ma quando poi mangio quello con la crema, mi rendo conto e mi ricordo immediatamente che mi piace. E parlo del generico cornetto del bar, neppure di qualche crema mirabolante elaborata con amore materno dai migliori pasticcieri di Parigi.
Ho qualche remoto trauma infantile legato alla crema? Ne ho mangiata di cattiva qualità, o andata a male, da piccolo e me la sono inconsciamente legata al dito?
Qualcosa di simile mi succede con certi compositori, tra cui Schumann. Nonostante lo conosca discretamente, se ci penso distrattamente, con la coda della mente, mi evoca un'idea (sbagliatissima) di melenso, di sdolcinato, di romantico nel senso erroneo in cui viene spesso usato. E poi lo sento e mi si rinnova l'amore per la sua musica: non mi stancherei di sentire il concerto per pianoforte in la minore, per esempio, colpevole anche un CD che sentivo spesso, in cui era accoppiato alla sinfonia concertante per violino e viola di Mozart, diretti entrambi da Muti.
Che vuole dire tutto ciò? Niente, mi era capitato di pensarlo, e di chiedermi se entra in gioco un meccanismo simile a quello per cui vorremmo rifuggire da certi impegni o incontri, ma quando poi finalmente li affrontiamo ci rendiamo conto che non avevano niente di così spaventoso e temibile.
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