mercoledì 11 novembre 2009
mercoledì 28 ottobre 2009
martedì 27 ottobre 2009
Lo spazio, il tempo e la TIM
Quando ricarico in rete il credito del mio telefonino, la TIM mi manda dopo poco un messaggio di conferma che inizia: “Ti comunichiamo di aver effettuato la ricarica richiesta”. Benissimo, che efficienza, sono passati solo pochi minuti!
Poi passano a confermare il mio numero di telefono e la cifra ricaricata.
E infine chiosano:
E poi, “effettuare la ricarica” non è lo stesso che avermela accreditata?
Mah.
Poi passano a confermare il mio numero di telefono e la cifra ricaricata.
E infine chiosano:
N.B. La ricarica sara` immediatamente resa disponibile come credito telefonico e comunque non oltre le 48 ore dal momento della richiesta.Sono io, oppure aver già fatto qualcosa, farlo immediatamente e farlo entro due giorni non sono esattamente la stessa cosa?
E poi, “effettuare la ricarica” non è lo stesso che avermela accreditata?
Mah.
domenica 25 ottobre 2009
Il Corriere e i giochi
Qualche giorno fa, giovedì 22 ottobre, era allegato al Corriere della Sera il “Corriere Giochi”, un supplemento sui giochi d'azzardo.
Per fortuna non c'era neppure bisogno di leggerne una frase per capire il messaggio che il supplemento voleva trasmettere. Bastava notare che quasi una pagina su due conteneva pubblicità: Snai, Sisal, Superenalotto, Lottomatica, “gratta e vinci”, siti di poker, casinò... (per la precisione, 10 pagine su 24, spesso a pagina intera).
Volendo comunque approfondire, ci si imbatte subito, in un pezzo di apertura a firma di Stefano Righi, nell'esortazione a “liberarsi di una visione prevenuta e perbenistica” circa il gioco. (Notare che si parla sempre di “giochi” tout court, come se si parlasse di nascondino e dama.)
Una delle cose che colpisce negli articoli - altrettanto obiettivi - su vari giochi che vanno per la maggiore è che si danno ogni tanto le probabilità di vincita, ma senza confrontarle con le vincite corrispondenti (il che permetterebbe per lo meno di calcolare il valore atteso della vincita). Certo, qualche volta fa piacere vincere comunque qualcosa, fosse anche un pupazzetto alla pesca della sagra di paese, ma qui il discorso fa finta di essere scientifico e di confrontare oggettivamente varie possibilità. In realtà in questo supplemento si esalta soprattutto il “comparto”, l'“industria”, il “settore”...
Per concludere, ma nel supplemento è posta all'inizio, conferisco il premio Citazione fuori contesto dell'anno a: “Perché mai il gioco dovrebbe essere qualcosa di peggio di qualsiasi altro modo di guadagnare del denaro, per esempio del commercio?” (Dostoevskij, Il giocatore).
Per fortuna non c'era neppure bisogno di leggerne una frase per capire il messaggio che il supplemento voleva trasmettere. Bastava notare che quasi una pagina su due conteneva pubblicità: Snai, Sisal, Superenalotto, Lottomatica, “gratta e vinci”, siti di poker, casinò... (per la precisione, 10 pagine su 24, spesso a pagina intera).
Volendo comunque approfondire, ci si imbatte subito, in un pezzo di apertura a firma di Stefano Righi, nell'esortazione a “liberarsi di una visione prevenuta e perbenistica” circa il gioco. (Notare che si parla sempre di “giochi” tout court, come se si parlasse di nascondino e dama.)
Una delle cose che colpisce negli articoli - altrettanto obiettivi - su vari giochi che vanno per la maggiore è che si danno ogni tanto le probabilità di vincita, ma senza confrontarle con le vincite corrispondenti (il che permetterebbe per lo meno di calcolare il valore atteso della vincita). Certo, qualche volta fa piacere vincere comunque qualcosa, fosse anche un pupazzetto alla pesca della sagra di paese, ma qui il discorso fa finta di essere scientifico e di confrontare oggettivamente varie possibilità. In realtà in questo supplemento si esalta soprattutto il “comparto”, l'“industria”, il “settore”...
Per concludere, ma nel supplemento è posta all'inizio, conferisco il premio Citazione fuori contesto dell'anno a: “Perché mai il gioco dovrebbe essere qualcosa di peggio di qualsiasi altro modo di guadagnare del denaro, per esempio del commercio?” (Dostoevskij, Il giocatore).
martedì 14 luglio 2009
Dall'Alaska
Per quelli tra i miei 2,5 lettori che non la conoscessero, ecco una perla di Palin-dromo:
Me l'ha detto (la pagina web di) Donald Knuth.
P.S. Ceterum, per quel che conta, la penso come Paolo Attivissimo.
All I saw: Wasilla.
Me l'ha detto (la pagina web di) Donald Knuth.
P.S. Ceterum, per quel che conta, la penso come Paolo Attivissimo.
giovedì 9 luglio 2009
Fresco o frescone?
Il quotidiano gratuito romano che ci ha già offerto altre perle pubblica oggi una foto che ritrae uno striscione esposto da alcuni attivisti ambientalisti:
“KEEP THE CLIMATE COOL”.
Secondo i genii del giornale, che a quanto pare sono molto ferrati sia in inglese che in problemi ambientali, significa “Fermate il clima freddo”...sabato 27 giugno 2009
Beware!
Davanti ai tavolini di uno dei bar del piano sotterraneo della stazione Termini fa bella mostra di sé già da molti giorni questo cartello:
In caso non si legga bene, dice: “ATTENZIONE AL PAVIMENTO”.
Che fa 'sto pavimento? È bagnato? È sconnesso? Si apre all'improvviso e lascia cadere il malcapitato in un fossato pieno di coccodrilli? Non ha una vera esistenza fisica e si dissolve quando uno smette di crederci?
In caso non si legga bene, dice: “ATTENZIONE AL PAVIMENTO”.
Che fa 'sto pavimento? È bagnato? È sconnesso? Si apre all'improvviso e lascia cadere il malcapitato in un fossato pieno di coccodrilli? Non ha una vera esistenza fisica e si dissolve quando uno smette di crederci?
mercoledì 17 giugno 2009
Tre centrali al mese
Leggo, su Metro (edizione di Roma) di ieri[1], un'affermazione attribuita a Jeremy Rifkin a proposito dell'utilità delle centrali nucleari:
Poi, il modo di esporre i dati è molto poco chiaro e facilmente incline a trarre in inganno: suona più come un classico problema “se sette uomini impiegano nove giorni a scavare una buca di cinque metri...” che non come l'esposizione di un dato su cui ragionare (e infatti è una frase per convincere, quasi uno slogan, non un'argomentazione). Seppure, sarebbe stato meglio semplificare un po' di fattori comuni e dire “una centrale ogni dieci giorni per 60 anni”, o “una centrale al giorno per sei anni”.
Ancora: si sa che quando si ha a che fare con numeri relativamente grandi, descriverli in un modo o in un altro cambia radicalmente le cose, a seconda che se ne voglia sottolineare la grandezza oppure mostrare il fatto che tutto sommato non sono poi così smisurati. Per esempio, gli abitanti della Terra, circa sei miliardi, se fossero messi l'uno sulla testa dell'altro formerebbero una smisurata colonna umana lunga 25 volte la distanza media tra la Terra e la luna o, se sdraiati, si avvolgerebbero 250 volte attorno all'equatore. D'altronde, se a ogni uomo, donna e bambino, lattanti inclusi, si assegnasse un appartamentino del volume di 100 metri cubi, staremmo tutti comodamente in un angolino neanche tanto grande del Grand Canyon (ci servirebbero circa 600 km3 e il Grand Canyon ha un volume dell'ordine di 4000 km3). Quindi esporre un dato in forma “lineare” (costruiamo una centrale dopo l'altra per decenni...) lo ingigantisce, esporlo in modo più aggregato (le costruiamo tutte simultaneamente in pochi anni..) lo minimizza.
Ma soprattutto, quei dati sono sbagliati di almeno un ordine di grandezza. Eccedere nei grassetti è male e me ne scuso, ma dopo la propaganda fatta insultando e zittendo l'interlocutore, la seconda - o la prima? - più grave è quella fatta non solo dando dati parziali, privi di fonte, esposti in modo capzioso, ma del tutto falsi. Si dà l'illusione di essere sereni e razionali, di offrire ragionamenti documentati nonché il modo per verificarli, e invece si sta prendendo in giro.[2]
Quante centrali sarebbero necessarie per soddisfare l'intero fabbisogno energetico elettrico del pianeta? Lì si parla del “20% di energia”, e quindi moltiplichiamo tutto per cinque. Bisognerebbe costruirne 3 ogni 30 giorni per 300 anni, ossia una ogni dieci giorni per 300 anni, ossia una al giorno per 30 anni, e quindi circa 10.000. Già “diecimila”, volendo, è un numero meno spaventoso del fantasma di qualcosa che si trascina giorno dopo giorno per vari decenni. Dopotutto stiamo parlando di un intero pianeta.
Ma non finisce qui. La produzione complessiva di energia elettrica nel 2000 è stata di 14.618 TWh, corrispondente a centrali elettriche per una potenza complessiva di 1.670.000 MW che funzionino ininterrottamente[3] (in realtà la potenza installata è circa il doppio, e le centrali di vario tipo per diversi motivi non funzionano sempre a pieno regime: c'è un surplus locale di elettricità, non c'è il sole o il vento, e così via).
I reattori EPR, che fanno parte di quelli cosiddetti di III generazione, come quelli che piacciono a certe persone importanti in Francia e in Italia, avranno una potenza di circa 1650 MW (come quello in costruzione a Flamanville[4]; in media i reattori in funzione in Francia, per fare un esempio vicino, hanno una potenza di poco più di 1000 MW[5]).
E poi, che vuol dire “centrale”? Molte hanno più di un reattore.
Il risultato è che il numero di reattori complessivi per coprire l'intero fabbisogno planetario è più vicino a mille! (E quindi forse trecento centrali, se hanno tre reattori ognuna, come è in media in Francia.) Ci sono solo uno o due ordini di grandezza di errore. Poteva andare peggio...[6]
Naturalmente il mio è solo un conto grossolano, fatto con l'accetta, per vedere gli ordini di grandezza, ignorando da una parte i problemi legati alla distribuzione, allo smaltimento delle scorie etc. e dall'altro tutte le alternative, di ambito più limitato ma con ben altri pregi.
E serve che dica che se S.B. e N.S. sono d'accordo su qualcosa, è il momento buono per cominciare a essere scettici su quel qualcosa, fosse anche la Venere di Botticelli?
[1] Citazione in un riquadro di Viviana Spinella, Rifkin ai Grandi “Terra agli sgoccioli”, Metro Roma, 16 giugno 2009, pag.3. In teoria è reperibile in rete, ma il server è lento e il file è ingombrante e non leggibile da alcuni programmi.
[2] Ora il dio dei pignuoli si vendicherà di me tempestando di errori questi miei conti, ovviamente. Speriamo bene...
[3] Paul Breeze, “Power Generation Technologies”, Elsevier, 2005, pag.5.
[4] Pieghevole dell'EdF sulla centrale di Flamanville
[5] Pagina dell'EdF sulle centrali nucleari francesi
[6] Come ai giornalisti inglesi che, riportando le istanze delle case discografiche, hanno moltiplicato per mille le cifre già discutibili e presumibilmente manipolate sulle presunte perdite dovute agli scaricamenti “illegali”, come spiega bene Ben Goldacre nella sua rubrica sul Guardian e nel suo blog Bad Science.
Perché il nucleare abbia un impatto positivo sull'ambiente bisognerebbe costruire 3 centrali ogni 30 giorni per 60 anni, per avere il 20% di energia. C'è qualche sano di mente che lo vuole?Il primo problema è che, come tutte le domande retoriche non a prova di bomba, può essere facilemente disinnescata con un “sì” (non sto dicendo che io personalmente risponderei affermativamente, ma solo che ci sono innumerevoli persone sane di mente che, per motivi più o meno condivisibili, sarebbero d'accordo).
Poi, il modo di esporre i dati è molto poco chiaro e facilmente incline a trarre in inganno: suona più come un classico problema “se sette uomini impiegano nove giorni a scavare una buca di cinque metri...” che non come l'esposizione di un dato su cui ragionare (e infatti è una frase per convincere, quasi uno slogan, non un'argomentazione). Seppure, sarebbe stato meglio semplificare un po' di fattori comuni e dire “una centrale ogni dieci giorni per 60 anni”, o “una centrale al giorno per sei anni”.
Ancora: si sa che quando si ha a che fare con numeri relativamente grandi, descriverli in un modo o in un altro cambia radicalmente le cose, a seconda che se ne voglia sottolineare la grandezza oppure mostrare il fatto che tutto sommato non sono poi così smisurati. Per esempio, gli abitanti della Terra, circa sei miliardi, se fossero messi l'uno sulla testa dell'altro formerebbero una smisurata colonna umana lunga 25 volte la distanza media tra la Terra e la luna o, se sdraiati, si avvolgerebbero 250 volte attorno all'equatore. D'altronde, se a ogni uomo, donna e bambino, lattanti inclusi, si assegnasse un appartamentino del volume di 100 metri cubi, staremmo tutti comodamente in un angolino neanche tanto grande del Grand Canyon (ci servirebbero circa 600 km3 e il Grand Canyon ha un volume dell'ordine di 4000 km3). Quindi esporre un dato in forma “lineare” (costruiamo una centrale dopo l'altra per decenni...) lo ingigantisce, esporlo in modo più aggregato (le costruiamo tutte simultaneamente in pochi anni..) lo minimizza.
Ma soprattutto, quei dati sono sbagliati di almeno un ordine di grandezza. Eccedere nei grassetti è male e me ne scuso, ma dopo la propaganda fatta insultando e zittendo l'interlocutore, la seconda - o la prima? - più grave è quella fatta non solo dando dati parziali, privi di fonte, esposti in modo capzioso, ma del tutto falsi. Si dà l'illusione di essere sereni e razionali, di offrire ragionamenti documentati nonché il modo per verificarli, e invece si sta prendendo in giro.[2]
Quante centrali sarebbero necessarie per soddisfare l'intero fabbisogno energetico elettrico del pianeta? Lì si parla del “20% di energia”, e quindi moltiplichiamo tutto per cinque. Bisognerebbe costruirne 3 ogni 30 giorni per 300 anni, ossia una ogni dieci giorni per 300 anni, ossia una al giorno per 30 anni, e quindi circa 10.000. Già “diecimila”, volendo, è un numero meno spaventoso del fantasma di qualcosa che si trascina giorno dopo giorno per vari decenni. Dopotutto stiamo parlando di un intero pianeta.
Ma non finisce qui. La produzione complessiva di energia elettrica nel 2000 è stata di 14.618 TWh, corrispondente a centrali elettriche per una potenza complessiva di 1.670.000 MW che funzionino ininterrottamente[3] (in realtà la potenza installata è circa il doppio, e le centrali di vario tipo per diversi motivi non funzionano sempre a pieno regime: c'è un surplus locale di elettricità, non c'è il sole o il vento, e così via).
I reattori EPR, che fanno parte di quelli cosiddetti di III generazione, come quelli che piacciono a certe persone importanti in Francia e in Italia, avranno una potenza di circa 1650 MW (come quello in costruzione a Flamanville[4]; in media i reattori in funzione in Francia, per fare un esempio vicino, hanno una potenza di poco più di 1000 MW[5]).
E poi, che vuol dire “centrale”? Molte hanno più di un reattore.
Il risultato è che il numero di reattori complessivi per coprire l'intero fabbisogno planetario è più vicino a mille! (E quindi forse trecento centrali, se hanno tre reattori ognuna, come è in media in Francia.) Ci sono solo uno o due ordini di grandezza di errore. Poteva andare peggio...[6]
Naturalmente il mio è solo un conto grossolano, fatto con l'accetta, per vedere gli ordini di grandezza, ignorando da una parte i problemi legati alla distribuzione, allo smaltimento delle scorie etc. e dall'altro tutte le alternative, di ambito più limitato ma con ben altri pregi.
E serve che dica che se S.B. e N.S. sono d'accordo su qualcosa, è il momento buono per cominciare a essere scettici su quel qualcosa, fosse anche la Venere di Botticelli?
[1] Citazione in un riquadro di Viviana Spinella, Rifkin ai Grandi “Terra agli sgoccioli”, Metro Roma, 16 giugno 2009, pag.3. In teoria è reperibile in rete, ma il server è lento e il file è ingombrante e non leggibile da alcuni programmi.
[2] Ora il dio dei pignuoli si vendicherà di me tempestando di errori questi miei conti, ovviamente. Speriamo bene...
[3] Paul Breeze, “Power Generation Technologies”, Elsevier, 2005, pag.5.
[4] Pieghevole dell'EdF sulla centrale di Flamanville
[5] Pagina dell'EdF sulle centrali nucleari francesi
[6] Come ai giornalisti inglesi che, riportando le istanze delle case discografiche, hanno moltiplicato per mille le cifre già discutibili e presumibilmente manipolate sulle presunte perdite dovute agli scaricamenti “illegali”, come spiega bene Ben Goldacre nella sua rubrica sul Guardian e nel suo blog Bad Science.
venerdì 29 maggio 2009
Parente del Re Tentenna?
Il catalogo in rete delle Poste, che come si sa vendono anche articoli di vario genere per corrispondenza, nelle pagine dedicate al collezionismo (che significa occhiali della Ferrari, bacheche per sorpresine Kinder, medagliette della madonna) offre tra l'altro un antoniniano d'argento, una moneta del tardo impero romano...
...introdotta da “Caracolla”. L'impero doveva essere già traballante...
...introdotta da “Caracolla”. L'impero doveva essere già traballante...
lunedì 18 maggio 2009
Traduttori traditori II
Come mi ripromettevo in “Traduttori traditori I”, si dice il peccato ma non il peccatore, e quindi ecco qualche svista che ho colto nella traduzione di un libro letto di recente, e che rimarrà non menzionato (dato che, ricordo, l'intenzione non è di mettere qualcuno alla berlina, ma di segnalare qualcosa che può essere utile, o almeno dilettevole).
Nel complesso è tradotto bene, a parte qualche piccolo calco di quelli che scappano facilmente traducendo, come in questo caso, dall'inglese (aggettivi prima del nome anche quando suonerebbero meglio dopo; “sapienza convenzionale” per conventional wisdom...).
In più c'è un paio di errori oggettivi, in genere riguardanti termini relativi a Internet o al linguaggio scientifico.
Parlando di siti per fare conoscenze si menziona il “sito web MySpace-style", come se fosse il nome di un sito, o quanto meno un modo per designarlo. Io avrei detto qualcosa come “il sito web simile a MySpace” o eventualmente “in stile MySpace”.
Questo è in un certo senso il più serio. Vengono menzionati a un certo punto fantomatici “automatismi cellulari”, dove dal contesto sono certo che si parlasse di “automi cellulari”. Forse chi ha tradotto, non avendo presente il concetto, ha semplicemente letto male cellular automaton inserendoci mentalmente una i e facendone un'automation?
Infine, uno scienziato descrive gli effetti fisici di un impatto tra un'automobile e un pedone, commentando il fatto che il corpo umano non è fatto per muoversi a velocità superiori a una trentina di chilometri all'ora, e parla di “essere colpiti da auto pesanti una tonnellata alla velocità di novantacinque chilometri all'ora (un impeto notevole)”. In quell'“impeto”, soprattutto dato il contesto scientifico, io leggo un momentum, cioè una “quantità di moto”.
Nel complesso è tradotto bene, a parte qualche piccolo calco di quelli che scappano facilmente traducendo, come in questo caso, dall'inglese (aggettivi prima del nome anche quando suonerebbero meglio dopo; “sapienza convenzionale” per conventional wisdom...).
In più c'è un paio di errori oggettivi, in genere riguardanti termini relativi a Internet o al linguaggio scientifico.
Parlando di siti per fare conoscenze si menziona il “sito web MySpace-style", come se fosse il nome di un sito, o quanto meno un modo per designarlo. Io avrei detto qualcosa come “il sito web simile a MySpace” o eventualmente “in stile MySpace”.
Questo è in un certo senso il più serio. Vengono menzionati a un certo punto fantomatici “automatismi cellulari”, dove dal contesto sono certo che si parlasse di “automi cellulari”. Forse chi ha tradotto, non avendo presente il concetto, ha semplicemente letto male cellular automaton inserendoci mentalmente una i e facendone un'automation?
Infine, uno scienziato descrive gli effetti fisici di un impatto tra un'automobile e un pedone, commentando il fatto che il corpo umano non è fatto per muoversi a velocità superiori a una trentina di chilometri all'ora, e parla di “essere colpiti da auto pesanti una tonnellata alla velocità di novantacinque chilometri all'ora (un impeto notevole)”. In quell'“impeto”, soprattutto dato il contesto scientifico, io leggo un momentum, cioè una “quantità di moto”.
martedì 12 maggio 2009
Asspeta e sperra...
Lo so, sghignazzare sullo spam e sul phishing, quando si mostra ingenuo e sgrammaticato, è fin troppo facile, così come chiedersi come sia mai possibile che qualcuno ci caschi. Comunque, a volte superano sé stessi: forse qualche loro ricerca di mercato ha mostrato che uno stile insensato turba e affascina come lo sguardo del serpente che sta per sbranarti?
Buongiorno Signori,
I nostri sondaggi hanno mostrato che 140 delle persone della Sua occupazione non sono contente delle proprie paghe mensili e desiderano aumentarle.
[...]
Devo avvisarLa che la risposta potra seguire dopo qualche giorno per l`intasamento dei nostri server di posta, ma stia sicuro che la Sua lettera sara letta e otterra risposta.
Asspetiamo con impazianza la Sua risposta
(Grassetto nel testo, e il tutto è ovviamnte sic, visto che è copiato e incollato.)
domenica 10 maggio 2009
Cacologismi 2
Forse co-costruzione non è proprio un cacologismo, ma quanto meno un “dubbiologismo”, visto che già costruire presenta il prefisso co-...
venerdì 8 maggio 2009
Cacologismi
Questo cartello troneggia su un cantiere di Roma, vicino all'ingresso di Villa Borghese dalla parte di piazzale Flaminio. Efficientamento è una parola bella? una parola utile? una parola esistente? una parola?
Quanto meno, è una parola improbabile, visto che dovrebbe derivare da un altrettanto improbabile efficientare. Se ne discute, per esempio, qui.
Magari poi ha un significato tecnico che nessuna perifrasi permette di esprimere, e io non lo so.
Quanto meno, è una parola improbabile, visto che dovrebbe derivare da un altrettanto improbabile efficientare. Se ne discute, per esempio, qui.
Magari poi ha un significato tecnico che nessuna perifrasi permette di esprimere, e io non lo so.
giovedì 9 aprile 2009
Fischi East Coast per fiaschi West Coast
Imbattendomi nella “University of Washington” in un articolo che stavo traducendo qualche giorno fa, ho evitato in extremis un errore (di cui probabilmente non si sarebbero comunque accorti in molti, ma...). Questo ateneo non è come pensavo lì per lì un'ipotetica università della città di Washington, ma l'Università dello Stato di Washington: infatti si trova a Seattle!
Alla fine l'ho chiamata appunto “Università dello Stato di Washington”, aggiungendo per chiarezza “a Seattle”, ma nel mio cuoricino avrei voluto scrivere, anche se suona male, “Università del Washington”, come direi per quasi qualunque altro stato. (E perché non “Università dell'Washington”, a questo punto, visto che in italiano si usa l'apostrofo prima delle parole che iniziano per “u” semivolcalica, come “l'uomo”? Perché mi sono rassegnato a dire “il whisky” e simili. (Ma cerco di dire “Lo Hegel”...))
Alla fine l'ho chiamata appunto “Università dello Stato di Washington”, aggiungendo per chiarezza “a Seattle”, ma nel mio cuoricino avrei voluto scrivere, anche se suona male, “Università del Washington”, come direi per quasi qualunque altro stato. (E perché non “Università dell'Washington”, a questo punto, visto che in italiano si usa l'apostrofo prima delle parole che iniziano per “u” semivolcalica, come “l'uomo”? Perché mi sono rassegnato a dire “il whisky” e simili. (Ma cerco di dire “Lo Hegel”...))
giovedì 26 marzo 2009
Si prega di me, e devi farmi troppo felice...
Mi è capitato di comprare, in un negozio di oggetti usati, una scelta di poesie di Gozzano tradotte in inglese, The Man I Pretend to Be. Visto che spesso critico a destra e a manca, qui riconosco di ammirare sinceramente l'operato del traduttore che è riuscito a salvare qualcosa sia della capra della forma che del cavolo del contenuto. Si tratta di Michael Palma, poeta egli stesso, traduttore di Dante e Raboni, e premiato tra l'altro proprio per queste sue traduzioni gozzaniane. Ecco per esempio una strofa dalla Signorina Felicita, in originale e in traduzione:
Tu non fai versi. Tagli le camicie
per tuo padre. Hai fatta la seconda
classe, t'han detto che la Terra è tonda,
ma tu non credi... E non mediti Nietzsche...
Mi piaci. Mi faresti più felice
d'un'intellettuale gemebonda...
You don't make verse. You mend your father's britches.
You went to the local school for a year or two,
they told you that the World is round, but you
don't believe it . . . You don't read those books of Nietzsche's . . .
And more than all those intellectual leeches
you please me, and you'd make me happier too . . .
Se non fate versi. È riparare il vostro padre britches.
È andato a scuola locale per un anno o due,
hanno detto che il mondo è tondo, ma è
non ci credo... Non avete letto i libri di Nietzsche...
E più di tutti coloro intellettuale sanguisughe
si prega di me, e devi farmi troppo felice...
Tu non fai versi. Tagli le camicie
per tuo padre. Hai fatta la seconda
classe, t'han detto che la Terra è tonda,
ma tu non credi... E non mediti Nietzsche...
Mi piaci. Mi faresti più felice
d'un'intellettuale gemebonda...
You don't make verse. You mend your father's britches.
You went to the local school for a year or two,
they told you that the World is round, but you
don't believe it . . . You don't read those books of Nietzsche's . . .
And more than all those intellectual leeches
you please me, and you'd make me happier too . . .
Tanto per riabbassare il livello del godimento estetico, ho gettato questi ultimi versi in pasto al traduttore di Google, che ne dà questa creativa retroversione:
Se non fate versi. È riparare il vostro padre britches.
È andato a scuola locale per un anno o due,
hanno detto che il mondo è tondo, ma è
non ci credo... Non avete letto i libri di Nietzsche...
E più di tutti coloro intellettuale sanguisughe
si prega di me, e devi farmi troppo felice...
(E anche se gli si dà una mano modificando “britches” nel più moderno “breeches”, la cosa non migliora molto: ...riparare il vostro padre, calzoncini.)
lunedì 23 marzo 2009
Pro o contro?
Non conosco molto bene il programma del Partito Democratico (se pure ne ha uno), ma avrei pensato che la povertà la volesse combattere, o contrastare, o affrontare in qualche modo. E invece:
Mi ricorda quell'ottico che pubblicizzava i propri sconti in occasione del “mese della prevenzione della vista”.
(Per chi non mi conosce: ovviamente quegli altri fanno ben di peggio, politicamente e linguisticamente. Il ministro Alfano critica la sinistra a Genova dicendo che deve “rischedulare la lista delle priorità”.)
martedì 17 marzo 2009
Comma 21
Ho visto Lezione 21, il film scritto e diretto da Alessandro Baricco. «Perché?» chiede chi mi conosce. So rispondere solo così: c'è chi ha il gusto di fermarsi a guardare gli incidenti sulle autostrade perché scene macabre gli danno un qualche frisson. A me non piace guardare automobilisti schiantati, ma occasionalmente mi concedo altri piaceri analoghi.
Vorrei dire che la mia reazione sia stata - per usare una delicata locuzione anglosassone - un continuo chiedermi «What the fuck!?», ma non sarebbe corretto. Lo stato quasi zen del WTF era continuamente interrotto da dialoghi impronunciabili, tesi insostenibili, movimenti di macchina da mal di mare, personaggi risibili e argomentazioni la cui logica farebbe rabbrividire anche quelli che all'ufficio postale hanno difficoltà a capire che chi ha un numero più basso è arrivato prima.
Il titolo del film si riferisce alla memorabile lezione 21 tenuta dal prof. Mondrian Kilroy nell'ambito di un corso sulle opere sopravvalutate (e qui è innegabile che A.B. sia un esperto): il Partenone, i quadri di Caravaggio, Emily Dickinson, l'Opera da tre soldi, l'Ulisse, Orson Welles ma, soprattutto, l'oggetto di quella lezione, la nona sinfonia di Beethoven e in particolare il suo ultimo movimento.
La lezione ci viene raccontata dai suoi affezionati studenti e apparentemente si svolse così: un uomo perso nella neve col suo violino riesce a raggiungere il villaggio sua meta (don't ask). Qui gli si presentano gli abitanti: il maestro del ghiaccio, il maestro del fuoco, i gemelli a uno dei quali manca il braccio destro e all'altro il sinistro, il (forse) prete che si diletta a costruire velieri in mezzo ai monti, più altri il cui ruolo è meno chiaro.
Il tutto, ovviamente, è una cornice onirica e poetica in cui esporre l'opinione di A.B. sull'ultimo movimento della Nona che - per quel che vale - si poteva esporre in un paragrafo scarno: quando ha composto l'Inno alla gioia Beethoven era vecchio, i vecchi perdono il senso del bello, ergo l'Inno alla gioia, pur avendo qualche merito, è privo di bellezza. Apparentemente una delle argomentazioni più solide risiederebbe nella testimonianza di un oscuro viaggiatore dell'epoca circa l'accoglienza non entusiastica del pubblico della prima esecuzione.
I miei 2,5 lettori apprezzeranno la mia caparbietà nel rimanere vigile fino a questa rivelazione e la mia lucidità nel darle una forma quasi coerente, nonostante lo stato quasi zen del WTF, i dialoghi impronunciabili, etc. etc.
Non mancano i vari assi nella manica del Baricco narratore, come il gusto per un linguaggio “parlato” («senza scherzi! quella era dinamite» o «quella roba dei timpani li fece andare fuori di testa...») o le situazioni e i personaggi “unici”: la sera in cui..., il tragitto di 54 passi che..., la lettera nella quale Beethoven espresse... Ma soprattutto il suo vero marchio di fabbrica come autore e come divulgatore, il Farsi-bello-con-le-penne-del-pavoneTM (mostrare un paesaggio innevato accompagnandolo con un quartetto di Beethoven credo che non sia consentito più neppure a chi gira pubblicità di profumi).
E, dulcis in fundo, non aiuta neppure il fatto che la sceneggiatura sia stata scritta in italiano, tradotta in inglese, recitata in inglese e doppiata in italiano.
Buona visione.
Vorrei dire che la mia reazione sia stata - per usare una delicata locuzione anglosassone - un continuo chiedermi «What the fuck!?», ma non sarebbe corretto. Lo stato quasi zen del WTF era continuamente interrotto da dialoghi impronunciabili, tesi insostenibili, movimenti di macchina da mal di mare, personaggi risibili e argomentazioni la cui logica farebbe rabbrividire anche quelli che all'ufficio postale hanno difficoltà a capire che chi ha un numero più basso è arrivato prima.
Il titolo del film si riferisce alla memorabile lezione 21 tenuta dal prof. Mondrian Kilroy nell'ambito di un corso sulle opere sopravvalutate (e qui è innegabile che A.B. sia un esperto): il Partenone, i quadri di Caravaggio, Emily Dickinson, l'Opera da tre soldi, l'Ulisse, Orson Welles ma, soprattutto, l'oggetto di quella lezione, la nona sinfonia di Beethoven e in particolare il suo ultimo movimento.
La lezione ci viene raccontata dai suoi affezionati studenti e apparentemente si svolse così: un uomo perso nella neve col suo violino riesce a raggiungere il villaggio sua meta (don't ask). Qui gli si presentano gli abitanti: il maestro del ghiaccio, il maestro del fuoco, i gemelli a uno dei quali manca il braccio destro e all'altro il sinistro, il (forse) prete che si diletta a costruire velieri in mezzo ai monti, più altri il cui ruolo è meno chiaro.
Il tutto, ovviamente, è una cornice onirica e poetica in cui esporre l'opinione di A.B. sull'ultimo movimento della Nona che - per quel che vale - si poteva esporre in un paragrafo scarno: quando ha composto l'Inno alla gioia Beethoven era vecchio, i vecchi perdono il senso del bello, ergo l'Inno alla gioia, pur avendo qualche merito, è privo di bellezza. Apparentemente una delle argomentazioni più solide risiederebbe nella testimonianza di un oscuro viaggiatore dell'epoca circa l'accoglienza non entusiastica del pubblico della prima esecuzione.
I miei 2,5 lettori apprezzeranno la mia caparbietà nel rimanere vigile fino a questa rivelazione e la mia lucidità nel darle una forma quasi coerente, nonostante lo stato quasi zen del WTF, i dialoghi impronunciabili, etc. etc.
Non mancano i vari assi nella manica del Baricco narratore, come il gusto per un linguaggio “parlato” («senza scherzi! quella era dinamite» o «quella roba dei timpani li fece andare fuori di testa...») o le situazioni e i personaggi “unici”: la sera in cui..., il tragitto di 54 passi che..., la lettera nella quale Beethoven espresse... Ma soprattutto il suo vero marchio di fabbrica come autore e come divulgatore, il Farsi-bello-con-le-penne-del-pavoneTM (mostrare un paesaggio innevato accompagnandolo con un quartetto di Beethoven credo che non sia consentito più neppure a chi gira pubblicità di profumi).
E, dulcis in fundo, non aiuta neppure il fatto che la sceneggiatura sia stata scritta in italiano, tradotta in inglese, recitata in inglese e doppiata in italiano.
Buona visione.
venerdì 27 febbraio 2009
L'uomo che sussurrava alle trilobiti
La Repubblica on line, buona ultima, si è accorta di una notizia di cui hanno già parlato varie testate nonché qualche blog anche da noi (per lo meno quello di .mau.), e cioè di una ricerca dell'Università di Reading che avrebbe appurato quali sono le più antiche parole dell'inglese - o in realtà delle lingue umane (indoeuropee?) in generale - e che fa previsioni su quali parole non sopravvivranno. Ecco qui che cosa ne dice per esempio la BBC, e come il Times la presenta in termini di manuale di conversazione per viaggiatori del tempo che vogliano visitare l'età della pietra.
La Repubblica, forse per recuperare il tempo perduto, ha voluto un po' strafare. Io non sono un paleoantropologo, ma visto che l'Homo sapiens esiste da circa 200.000 anni, sono abbastanza certo che milioni di anni fa non ci fosse in giro molta gente simile a noi che parlava (a parte i viaggiatori del tempo di cui si diceva...):
La Repubblica, forse per recuperare il tempo perduto, ha voluto un po' strafare. Io non sono un paleoantropologo, ma visto che l'Homo sapiens esiste da circa 200.000 anni, sono abbastanza certo che milioni di anni fa non ci fosse in giro molta gente simile a noi che parlava (a parte i viaggiatori del tempo di cui si diceva...):
domenica 22 febbraio 2009
Gas nobili
In un testo che stavo scrivendo dovevo menzionare quel tal elemento chimico con numero atomico 36 e simbolo Kr, e mi era venuto il dubbio di come si chiamasse veramente in italiano. A priori ci sono otto possibilità:
(K / C) r (y / i) p t o (n / niente).
In altre parole, krypton, crypton, kripton, cripton, krypto, crypto, kripto o cripto (e Superman non c'entra per niente: è un normale gas nobile).
Ora, da quel che ho visto, i lessicografi e i curatori di enciclopedie e di altri testi sono di larghissime vedute e ammettono non meno di sette grafie sulle otto possibili.
Tutti i dizionari che ho consultato, tranne uno, hanno come lemma principale "cripto", ma poi oscillano sulle altre grafie possibili.
Se questo gas voleva rimanere "nascosto" e poco presente alle menti degli uomini, ci è riuscito per bene.
Ora, da quel che ho visto, i lessicografi e i curatori di enciclopedie e di altri testi sono di larghissime vedute e ammettono non meno di sette grafie sulle otto possibili.
Tutti i dizionari che ho consultato, tranne uno, hanno come lemma principale "cripto", ma poi oscillano sulle altre grafie possibili.
- Il Devoto-Oli (di cui ho sott'occhio l'edizione del 1990) usa la grafia "cripto" e aggiunge "o crypton; anche krypton" ma sotto la K si può leggere anche "kripto", ovviamente con un rimando a "cripto".
- Il De Mauro, alla voce "cripto" riporta le "Varianti: cripton, crypton, kripto, krypton".
- Il dizionario Treccani in rete (corrisponde a uno di quelli su carta?) è altrettanto generoso quanto a numero di possibili varianti, anche se non sono le stesse: "cripto (o crypton /'kripton/; anche kripto, kripton e krypton)".
- Stesso discorso (cinque varianti, ma diverse) vale per il Gabrielli pubblicato dalla Hoepli: "cripto / o cripton, crypton, krypton, krypto".
- Il dizionario Garzanti riporta come grafie alternative "antiquate" "cripton o krypton".
- Il Sabatini-Colletti lo dà semplicemente come "cripto o crypton".
- Persino il purista D.O.P. ammette "cripto o krypton".
- Solo il "Dizionario di Pronuncia Italiana" - ma de facto anche di ortografia - di Luciano Canepàri riporta l'unica versione "cripton".
Se questo gas voleva rimanere "nascosto" e poco presente alle menti degli uomini, ci è riuscito per bene.
martedì 10 febbraio 2009
Enti televisivi britannici
La Repubblica online, mostrando alcuni fotogrammi in cui si vede un tale che per poco non viene travolto da un treno (sul sito della Repubblica c'è questo e altro), spiega che "le ha registrate la CCTV che mette a disposizione delle autorità il materiale girato dalle telecamere a circuito chiuso."
La CCTV, eh?
La CCTV, eh?
mercoledì 4 febbraio 2009
"E" e/o "o"
I pignuoli conoscono già bene l'uso e l'abuso che si fa della neopreposizione "e/o", là dove un normale "o" ci starebbe benissimo. Che ti succede se prendono per "aut" un tuo "vel" tanto rifinito e covato con amore? Non si sa.
Ma oggi mi sono imbattuto nell'esempio più bello fra tutti quelli che ho visto finora, un caso in cui si ha veramente, matematicamente un "o" esclusivo:
(In caso non si legga: il firmatario dichiara "di impegnarsi a comunicare tempestivamente all'Università degli Studi di Roma eventuali altri rapporti di collaborazione coordinata e continuativa attivati nel corso dello stesso periodo con altri committenti al fine di evitare all'Università il versamento di importi in misura inferiore e/o superiore al dovuto.")
È tratto da un modulo da compilare a latere di un contratto di co.co.co. Io non sono un commercialista, e per me molti aspetti delle norme fiscali sono un mistero. In genere mi fido ciecamente degli esperti.
Ma mi sembrerebbe veramente strano che una mia mancata comunicazione faccia sì che chicchessia versi simultaneamente un importo inferiore e superiore al dovuto. Oppure in ambito burocratico non vale più la tricotomia dei numeri reali?
Ma oggi mi sono imbattuto nell'esempio più bello fra tutti quelli che ho visto finora, un caso in cui si ha veramente, matematicamente un "o" esclusivo:
(In caso non si legga: il firmatario dichiara "di impegnarsi a comunicare tempestivamente all'Università degli Studi di Roma eventuali altri rapporti di collaborazione coordinata e continuativa attivati nel corso dello stesso periodo con altri committenti al fine di evitare all'Università il versamento di importi in misura inferiore e/o superiore al dovuto.")
È tratto da un modulo da compilare a latere di un contratto di co.co.co. Io non sono un commercialista, e per me molti aspetti delle norme fiscali sono un mistero. In genere mi fido ciecamente degli esperti.
Ma mi sembrerebbe veramente strano che una mia mancata comunicazione faccia sì che chicchessia versi simultaneamente un importo inferiore e superiore al dovuto. Oppure in ambito burocratico non vale più la tricotomia dei numeri reali?
domenica 25 gennaio 2009
Guerriglia pignuola
A voler intervenire, non dico ogni volta che si vede qualcosa di sbagliato, ma anche solo una volta su mille, ovviamente non si finisce più, e anzi neanche si comincia (come ben ricorda xkcd).
Ma ogni tanto si può fare. In una Feltrinelli di Roma, nell'espositore in cui i librai consigliano qualche libro ai clienti, uno dei titoli mostrati era La sovrana lettrice di Alan Bennett, consiglio che condivido pienamente. Condivido un po' meno il fatto che la "scrittrice" dia della regina d'Inghilterra "un immagine" insolita...
(Per curiosità, l'atto di guerriglia pignuola è consistito solo nel far notare la questione al banco delle informazioni.)
Mi accorgo ora che la stessa segnalazione è presente anche sul sito della Feltrinelli (si veda sotto "La nostra opinione"), e allora mi sento autorizzato a riportarla per esteso (un conto è se l'avesse scritta qualcuno cinque minuti prima sovrappensiero, e un conto è se qualcuno l'ha scritta, qualcuno l'ha riprodotta, qualcuno l'ha messa in rete, qualcuno l'ha trasmessa alle Feltrinelli di tutta Italia e così via...). Se non si legge, il testo dice "Dalla penna di una scrittrice brillante un immagine particolare e divertente della vita della regina d' Inghilterra."
(E sorvolo sull'ennesimo abuso dell'aggettivo "particolare".)
Ma ogni tanto si può fare. In una Feltrinelli di Roma, nell'espositore in cui i librai consigliano qualche libro ai clienti, uno dei titoli mostrati era La sovrana lettrice di Alan Bennett, consiglio che condivido pienamente. Condivido un po' meno il fatto che la "scrittrice" dia della regina d'Inghilterra "un immagine" insolita...
(Per curiosità, l'atto di guerriglia pignuola è consistito solo nel far notare la questione al banco delle informazioni.)
Mi accorgo ora che la stessa segnalazione è presente anche sul sito della Feltrinelli (si veda sotto "La nostra opinione"), e allora mi sento autorizzato a riportarla per esteso (un conto è se l'avesse scritta qualcuno cinque minuti prima sovrappensiero, e un conto è se qualcuno l'ha scritta, qualcuno l'ha riprodotta, qualcuno l'ha messa in rete, qualcuno l'ha trasmessa alle Feltrinelli di tutta Italia e così via...). Se non si legge, il testo dice "Dalla penna di una scrittrice brillante un immagine particolare e divertente della vita della regina d' Inghilterra."
(E sorvolo sull'ennesimo abuso dell'aggettivo "particolare".)
martedì 13 gennaio 2009
Musulmani o indù?
Segnalo ai miei 2,5 lettori un interessante appunto a proposito della versione italiana del film The Millionaire di Danny Boyle. (Consiglio anche i commenti all'articolo, che aggiungono utili osservazioni e ipotesi, nonché qualche altra pignoleria non direttamente correlata ma interessante.)
giovedì 8 gennaio 2009
Cybook
Ho avuto a disposizione per alcuni giorni un Cybook Gen 3, un lettore di ebook a inchiostro elettronico messo gentilmente a disposizione dalla Simplicissimus Book Farm che distribuisce questo e altri apparecchi, produce ebook e altro.
Nel complesso sono molto soddisfatto della prova.
Come tutto nella vita, il Cybook ha pregi e difetti: più nello specifico, fa poche cose molto bene a differenza, per esempio, di un oggetto come l'iPhone, che ne fa molte ma quasi nessuna in modo perfetto (come macchina fotografica ha una risoluzione non eccelsa, come lettore di ebook ha uno schermo piccolo e non molto adatto e così via).
L'inchiostro elettronico è effettivamente un supporto ottimo per leggere, non stanca gli occhi ed è più o meno nitido come un testo stampato su carta riciclata. Il formato, circa 12 cm di altezza per 9 di larghezza, è adatto per leggere file che possono essere riimpaginati (file di testo, html, in special modo mobipocket), ma un po' meno per file .pdf pensati per un foglio A4. Li si riesce a leggere, soprattutto se li si orienta in modo che la larghezza del foglio sfrutti l'altezza dello schermo, ma rimpicciolendo l'immagine o muovendosi in giro per la pagina.
D'altronde è un problema pressoché insormontabile: se lo schermo è sufficientemente grande da accogliere comodamente un A4, non sarà abbastanza piccolo da poter essere usato facilmente in piedi sulla metropolitana o la sera a letto (due occasioni in cui mi capita spesso di leggere).
Dunque, per leggere testi riimpaginabili (e quindi in cui non hanno particolare importanza l'impaginazione, tabelle, formule) funziona benissimo: ho letto comodamente e piacevolmente due libri di Cory Doctorow e pezzi e bocconi di altre cose.
L'uso dei tasti e delle varie funzioni non è perfetto, ma è nel complesso comodo e ci si abitua presto. L'aspetto è un po' "plasticoso", ma suppongo che in alternativa avrebbe dovuto essere o molto più pesante o molto più costoso. Così com'è pesa meno di due etti e sta in una mano.
Nel complesso, ripeto, quello che fa lo fa bene: penso che il fattore principale che possa far decidere se comprarlo o no sia nella disponibilità in formati "comodi" di libri e testi che interessano. Soprattutto se si sa l'inglese, c'è a disposizione tutto l'archivio Gutenberg, la "free library" della Baen, appunto i libri di Doctorow e di molti altri autori che mettono a disposizione gratuitamente le proprie opere (e mi sto limitando ai testi che si possono ottenere gratuitamente legalmente). In italiano, c'è soprattutto il progetto Liber liber, gli ebook della Simplicissimus e altro. Direi che ora come ora sia di gran lunga più facile girare per questi e altri siti e vedere che cosa c'è che possa interessare, che non avere in mente un libro che si vuol leggere e trovarlo in forma digitale.
Quindi, caveat lector, il quale saprà ben lui che cosa vuole leggere.
martedì 6 gennaio 2009
Blu
Mi sono reso conto solo qualche giorno fa, dopo cinquant'anni, di un dettaglio relativo a Nel blu dipinto di blu (nota meno propriamente anche come Volare). Quando chi ci sta parlando ci descrive le sue sensazioni di "Volare / Cantare / Nel blu / Dipinto di blu", non sta dicendo pleonasticamente che il blu è dipinto di blu. Ci sta dicendo che lui, dipinto di blu, vola nel blu!
Forse lo sapevano tutti, anche perché nei versi precedenti ci racconta che "mi dipingevo le mani e la faccia di blu". Io l'ho capito solo ascoltando alla radio una versione cantata da una donna (Rita Pavone?), in cui si dice "...nel blu dipinta di blu".
Forse lo sapevano tutti, anche perché nei versi precedenti ci racconta che "mi dipingevo le mani e la faccia di blu". Io l'ho capito solo ascoltando alla radio una versione cantata da una donna (Rita Pavone?), in cui si dice "...nel blu dipinta di blu".
venerdì 2 gennaio 2009
È morto Westlake
Questa non è una pignoleria. È morto qualcuno per cui mi dispiace davvero: Donald E. Westlake, un grande scrittore.
Fu autore per lo più di gialli che variavano dal crudo realismo delle storie del professionista del crimine Parker, firmate con lo pseudonimo di Richard Stark, alle vicende umoristiche di Dortmunder e degli "ineffabili cinque". Sono tutte storie ben congegnate e di piacevole lettura.
Ho appreso la notizia dal blog della casa editrice Tor; qui c'è il necrologio del New York Times.
Come Jo Walton della Tor, anch'io non mi rassegno.
Fu autore per lo più di gialli che variavano dal crudo realismo delle storie del professionista del crimine Parker, firmate con lo pseudonimo di Richard Stark, alle vicende umoristiche di Dortmunder e degli "ineffabili cinque". Sono tutte storie ben congegnate e di piacevole lettura.
Ho appreso la notizia dal blog della casa editrice Tor; qui c'è il necrologio del New York Times.
Come Jo Walton della Tor, anch'io non mi rassegno.
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