lunedì 21 settembre 2015

Umberto Eco: Tu, Lei, la memoria e l'insulto

Qualche giorno fa Umberto Eco ha tenuto, nell'ambito del Festival della Comunicazione, una “lectio magistralis” su Tu, Lei, la memoria e l'insulto. Leggetela, ché è bella.
Si parla della perdita della distinzione tra il tu e il Lei (per non parlare del Voi), non per conscia scelta di democratizzazione, bensì perché nella lingua di molti non è proprio più disponibile la scelta. E di qui si parla di rapporto col passato, di perdita della memoria storica, di cura della calligrafia e del fatto che va benissimo, quando è il caso, prendere a male parole il prossimo, ma non con quelle solite misere tre o quattro espressioni.

Avvertenza: Spira, dall'inizio alla fine, un certo spirito da laudator temporis acti, da “ai miei tempi non succedeva”. Ma, almeno a me, non dà fastidio. Sarà perché ho più cose in comune con Eco, nonostante i trentasei anni di differenza, che con chi pensa che Mussolini possa aver incontrato Pound nel 1964?
È vero, può venire per un attimo da sorridere quando si legge «Quali opere letterarie potranno ancora gustare [i ragazzi di oggi] visto che non hanno conosciuto la vita rustica, le vendemmie, le invasioni, i monumenti ai caduti, le bandiere lacerate delle palle nemiche, l'urgenza vitale di una morale?» Ma solo per un attimo, perché poi uno si ricorda di aver pensato e detto, per esempio, che non si può veramente scrivere e neppure tradurre se non si è vissuto, se non si è avuto a disposizione qualche decennio in cui amare la vita e scontrarcisi.
E persino dove Eco sembra dare alla biro la colpa della perdita della calligrafia e con lei di altri valori («la scrittura a biro non aveva più anima, stile e personalità»), chi legge può rimanere lì per lì perplesso, ma poi ripensare al fatto che il gusto di fare le cose per bene non lo hanno solo persone di altri tempi – ammesso che lo abbiano – e che spesso la forma è contenuto (senza contare che chi scrive ce l'ha, una penna stilo calligrafica e un manuale di scrittura italica).

Un'ultima osservazione. La lectio di Eco è il secondo testo che mi capita di leggere in due giorni che confuta il luogo comune secondo cui intellettuali e accademici mostrerebbero un certo snobismo nei confronti della Wikipedia o addirittura la rifiuterebbero in toto.
Valerio Magrelli, nell'introduzione al suo Millennium poetry, argomenta sul perché se ne sia avvalso utilmente nella stesura del libro; e in questa lectio Eco addirittura se la prende con chi non la consulta.

4 commenti:

  1. Mah. C'è qualche spunto interessante ma molta minestra riscaldata, e poi Eco cade malamente nell'errore di fidarsi non tanto di Wikipedia - fa bene a non farlo - ma del Corsera e dei suoi trecento milioni di utenti Wikipedia in meno, contribuendo a perpetuare l'errore.

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    1. Non avevo seguito molto la questione dei trecento milioni. Come era veramente?
      Comunque, statistiche a parte, concordo con Eco che c'è troppa gente che non fa neppure lo sforzo di verificare qualcosa al volo sulla Wikipedia, che pure dovrebbe essere appena un primissimo – se non zeresimo – passo per approfondire.

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  2. i trecento milioni sarebbero (al più, ma lì la storia è più lunga: limitiamoci alla fonte originale mal scopiazzata) i pageview in meno rispetto ai 2,7 miliardi in primavera... anche perché 300 milioni in meno su 500 milioni di utenti unici sarebbe davvero una tragedia.

    A me quello che preoccupa è che non solo non si verifica al volo su Wikipedia come prima scrematura, ma che non si azioni nemmeno il cervello in generale. Ormai tutte le fonti sono inquinate, e se la scuola non insegna un po' di analisi critica siamo messi male.

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  3. «Un certo spirito da laudator temporis acti» mi sembra un eufemismo. In confronto, Cicerone fa la figura di un rapper dei più innovativi

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