Non comprendo la furia dei venti, cantava il poeta. Io non comprendo neanche molte altre cose, in due delle quali mi imbatto quasi quotidianamente.
Una è: se un “evento”, una mostra-mercato, una manifestazione di qualsiasi tipo si svolge in Italia, in lingua italiana e presumibilmente la stragrande maggioranza dei partecipanti sarà italiana, perché darle un nome inglese?
Un’altra, collegata alla prima, è: poniamo che Šiva distruttore di mondi ti abbia imposto di dare un nome inglese alla tua fiera, perché altrimenti distrugge una manciata di mondi a casaccio. Ma allora perché i nomi delle città li lasci in italiano?
Perché scrivi “Milano Book Fair” anziché “Milan etc.”?
Perché scrivi “Taste of Roma” invece di “... of Rome”?
Esistono entrambi, ma non metto i link (che non è difficile trovare) perché entrambi i siti sono molto brutti - e di bruttezza è già troppo pieno il mondo - ed entrambi emettono suoni appena ci si collega.
Questi sono solo i due casi in cui mi sono imbattuto nell’ultimo paio di giorni, ma sono in enorme compagnia. Nella sola capitale, che per ovvî motivi conosco meglio, c’è una “Roma Rock School”, varie iniziative dedicate alla canzone “of Roma” etc.
E per questa città il problema non è neanche solo puramente di coerenza linguistica, ma anche semantico: in inglese “Roma” vuol dire “Rom”, e quindi un anglofono può benissimo fraintendere tutte quelle comunicazioni pubblicitarie e ritenersi fortunato di essere arrivato in un paese che non solo non vessa gli zingari, ma in cui i “figli dell’arcobaleno” possono liberamente organizzare iniziative in cui presentano le loro canzoni, la loro cucina...