martedì 27 novembre 2012

UK vs. US

L'Asperger è il nuovo cool, si sa.


Versione britannica:
Sherlock: I'm not a psychopath, I'm a high-functioning sociopath; do your research.
(Sherlock, “A Study in Pink”) 


Versione statunitense:
Gary: I'm not... I'm not a re[tard]. Hey, you shouldn't use that word. I'm autistic. You're a retard.
(Alphas, “Never Let Me Go”) 

lunedì 22 ottobre 2012

Accenti in libertà 2


- Ehi, ma “novità” com'è che si scriveva? Con l'accento acuto o con una mezza specie di apostrofo che svolazza in alto a destra?
- Per chi mi hai preso, scusa? Per uno che lavora con i libri?

giovedì 27 settembre 2012

Conti del Lazio

Sulla scia delle dimissioni di Renata Polverini dalla presidenza della Regione Lazio, annunciate (e ancora non avverate nel momento in cui scrivo), sono apparsi a Roma i manifesti che riproduco qui e che, dando prova di un certa qual improntitudine, sembrano magnificare la gestione finanziaria dell’attuale consiglio regionale.
Non posso escludere d’altronde che si tratti di una sottile opera satirica a danno della Polverini dovuta a qualche altra parte politica, o apolitica, perché tanto normali questi manifesti non sono. Intanto, per un ente non è necessariamente un vanto il fatto in sé di ridurre il bilancio (bisogna vedere quali voci, come, perché): è come dire che spendo meno per mangiare. Magari prima mangiavo normalmente e ora mi limito al pane secco.
Poi non è ben chiaro rispetto a cosa siano calcolate le varie riduzioni e tagli (l'anno scorso? la legislatura precedente? il bilancio statale del Nebraska? le previsioni sbagliate?).
Ma soprattutto, e di maggior rilevanza per i pignuoli, che cosa vuol dire “ridotte del 183% le spese di comunicazione”? Cioè, proprio aritmeticamente, che significa? Per ogni 100 euro che si spendevano prima, adesso... che cosa? Ne entrano 83? È oggettivamente difficile ridurre una quantità di più del 100%, a meno di non entrare nei numeri negativi. E le spese negative sono un po’ strane.
(E sì che io sono un fautore del concetto di “denaro negativo”: un mondo in cui quando prendo un cappuccino mi danno una bella moneta da -1 euro, oppure in cui i ladri infilano con destrezza banconote negative nelle tasche della gente.)

Visto che questo manifesto fa parte delle stesse attività di comunicazione su cui si vantano tagli draconiani, la mia unica speranza è che si tratti di uno scherzo, o di un messaggio in bottiglia, da parte di qualche stagista non pagato...

venerdì 14 settembre 2012

I sette Gipsy Kings

Non comprendo la furia dei venti, cantava il poeta. Io non comprendo neanche molte altre cose, in due delle quali mi imbatto quasi quotidianamente.

Una è: se un “evento”, una mostra-mercato, una manifestazione di qualsiasi tipo si svolge in Italia, in lingua italiana e presumibilmente la stragrande maggioranza dei partecipanti sarà italiana, perché darle un nome inglese?

Un’altra, collegata alla prima, è: poniamo che Šiva distruttore di mondi ti abbia imposto di dare un nome inglese alla tua fiera, perché altrimenti distrugge una manciata di mondi a casaccio. Ma allora perché i nomi delle città li lasci in italiano?
Perché scrivi “Milano Book Fair” anziché “Milan etc.”?
Perché scrivi “Taste of Roma” invece di “... of Rome”?

Esistono entrambi, ma non metto i link (che non è difficile trovare) perché entrambi i siti sono molto brutti - e di bruttezza è già troppo pieno il mondo - ed entrambi emettono suoni appena ci si collega.

Questi sono solo i due casi in cui mi sono imbattuto nell’ultimo paio di giorni, ma sono in enorme compagnia. Nella sola capitale, che per ovvî motivi conosco meglio, c’è una “Roma Rock School”, varie iniziative dedicate alla canzone “of Roma” etc.
E per questa città il problema non è neanche solo puramente di coerenza linguistica, ma anche semantico: in inglese “Roma” vuol dire “Rom”, e quindi un anglofono può benissimo fraintendere tutte quelle comunicazioni pubblicitarie e ritenersi fortunato di essere arrivato in un paese che non solo non vessa gli zingari, ma in cui i “figli dell’arcobaleno” possono liberamente organizzare iniziative in cui presentano le loro canzoni, la loro cucina...

domenica 5 agosto 2012

Premialità

Premialità non è esattamente una bella parola (la scelta del lessico ha anche criteri estetici, sì) e non è neppure indispensabile. Ma il contesto in cui viene usata qui è così delirante che la parola è il meno.
L’AMA, l’azienda della nettezza urbana di Roma, annuncia varie innovazioni su come si svolgerà nei prossimi anni la raccolta differenziata in città. Una delle novità è che
Il nuovo sistema di raccolta differenziata prevede l’implementazione di un sistema di premialità per i cittadini più virtuosi. ... verranno posizionati cassonetti a chiusura ermetica per i rifiuti organici e per quelli indifferenziati. Sarà possibile conferire i rifiuti in questi contenitori solo con un badge familiare. In tal modo, ogni volta che si getteranno gli scarti alimentari si otterranno dei punti. Viceversa, si perderanno quando si utilizzerà il cassonetto per l’indifferenziato.
Ma che, davvero? Si utilizza un rinforzo negativo per un’azione inevitabile? (Molti materiali semplicemente non sono riciclabili.) Non c'è bisogno di essere teorici del nudge, della “spinta gentile”, per capire che così ci si limita a spingere gentilmente la gente a buttare tutto nel cassonetto degli scarti alimentari. E se invece ci si fida del senso civico dei residenti (o dei controlli occhiuti a opera di ninja nascosti nei bidoni) non serve un badge per ogni famiglia e un lettore di badge per ogni cassonetto, che presumibilmente hanno un certo costo.

martedì 31 luglio 2012

Accenti in libertà


Sì, in à la carte da qualche parte c’era un accento...



Ah, ma è (faux) vietnamita!



Grave o acuto? Mettiamoli entrambi.



“La dolce vità”: quando la trovata di copywriting è indistinguibile dal refuso.


lunedì 9 luglio 2012

Reputazioni da riparare?

È uscita finalmente la mia traduzione del racconto lungo “Il riparatore di reputazioni” di Robert W. Chambers, parte della sua raccolta Il Re in giallo.
Si tratta di un ebook che fa parte del progetto dei Dragomanni (di cui ho già orgogliosamente parlato): ora è in vendita presso Ultima Books e tutte le altre principali librerie virtuali (Feltrinelli.it, Ibs, Amazon.it, Bookrepublic e molte altre).
Al racconto ho affiancato una breve introduzione (breve perché io, come lettore, le introduzioni le leggo comunque dopo, e quindi il grosso l’ho messo dopo il testo) e un corposo apparato di note al testo, materiale su Chambers, osservazioni sulla traduzione e altro.
Simultaneamente appare anche l'altro dei primi due ebook dragomannici in vendita, Tre racconti di spettri della scrittrice vittoriana Mary Elizabeth Braddon nella traduzione di Alice Gerratana.

martedì 12 giugno 2012

Stephen King e gli avverbi

Ho avuto di recente occasione di sentir parlare Sandro Veronesi, che pare una persona simpatica e preparata (lo sapevano tuttoi, suppongo, ma io non l'avevo mai visto di persona).

Ma qui mi interessa in particolare un episodio che ha raccontato. All'inizio di un corso di scrittura incoraggiava gli studenti a porre domande o dubbi e uno, tutto timido, gli fa: “Ma questo fatto che non bisogna usare gli avverbi... ma proprio mai mai?” Al che Veronesi salta su e cerca di capire da dove mai venga il malsano consiglio. La fonte è un certo docente, che a sua volta etc. etc. A farla breve, la fonte prima sarebbe Stephen King. E dagli addosso a King, che mette i giovani sulla cattiva strada, che predica male e razzola così così etc. (mia liberissima parafrasi: in realtà non è stato detto nulla del genere).

Insomma, ho cercato di capire che cosa abbia detto veramente King e, se non è andato di persona a sussurrare qualcosa ai docenti di una certa scuola di scrittura torinese, la sua posizione sull'argomento è esposta in On Writing (che consiglio). Qui potete trovare un estratto in inglese; il succo è che, secondo il nostro, “l'avverbio non è un amico”, non è qualcuno cui rivolgersi per fargli fare tutto quello che non vogliamo o sappiamo fare noi. Descrivere un'azione col solo verbo può essere più efficace che accompagnarla con un avverbio:
“Don't be such a fool, Jekyll,” Utterson said 
(“Non faccia lo sciocco, Jekyll”, disse Utterson)
può essere più efficace di
“Don't be such a fool, Jekyll,” Utterson said contemp­tuously 
(“Non faccia lo sciocco, Jekyll”, disse con disprezzo Utterson),
dice King, e così per vari esempi, nei quali sconsiglia anche l'abuso di verbi troppo “pieni di steroidi” (grated, gasped, jerked out).
Ma la cosa più importante è che per King questo bando agli avverbi vale quasi solo all'interno dell'attribuzione delle battute. Per il resto, gli avverbi sono come i soffioni: pochi in mezzo a un prato lo impreziosiscono, troppi lo infestano esageratamente e veementemente.

venerdì 8 giugno 2012

Arrivano i Dragomanni

Più d'uno dei miei 2,5 lettori già lo sa: stanno partendo i Dragomanni.

Che rob'è? È un mio progetto, in cui ho coinvolto vari colleghi traduttori, per tradurre in italiano e pubblicare in proprio - sotto forma di ebook - testi di classici (o libri che dovrebbero esserlo) nonché di autori contemporanei.
È una non-casa editrice. Non ha alcuna struttura societaria ufficiale, ma c'è un coordinamento informale sui titoli da tradurre, una collaborazione redazionale e tecnica: ci si aiuta a vicenda, in sostanza.
Il nostro modello d'impresa, finora, è stata la «zuppa di pietre», come in quella storia del tale che arrivava in un paese con una pietra dalle proprietà magiche: buttata in un pentolone di acqua bollente avrebbe dato una magnifica zuppa. Tutti ne furono entusiasti, tanto che qualcuno offrì un paio di carote per arricchire un po' la zuppa, qualcun altro un osso con un po' di carne attaccata, e così via.
Bene, qui qualcuno ha fornito un logo, qualcun altro ha finalmente messo mano all'idea che aveva da tempo; chi si è cimentato nella stesura delle norme redazionali, chi ha allestito la pagina web. E dalla pietra per niente magica è venuta fuori una vera zuppa saporita che ora si può cominciare a mangiare.

Così, dopo qualche mese di sobbollitura, oggi è pronto il primo ebook e, a giorni, i prossimi due.


Il primo titolo dei Dragomanni è il racconto breve «L'uomo senza collo» di Melinda Nadj Abonji, una scrittrice magiaro-svizzera di lingua tedesca, tradotto da Roberta Gado che ha anche curato una nota sul racconto.
L'ebook è pubblicato in collaborazione con la casa editrice Voland, in occasione dell'uscita, il 14 giugno, del romanzo Come l'aria della Nadj Abonji, sempre tradotto da Roberta Gado. «L'uomo senza collo» si può scaricare gratuitamente, in formato .epub,  dal sito di Simplicissimus.

domenica 3 giugno 2012

Scomparire in un rebus

Non ho certo tempo, e neanche voglia, per dilungarmi sui fatti di Parma, ma essendo un appassionato di metafore miste in libertà, sono contento che abbiano reso possibile questa frase ad alta densità di metafore (non meno di tre più le etimologie metaforiche di “capire” e “squadra”):

A Parma hanno capito l’antifona, e Tavolazzi è scomparso dai radar nel complicatissimo rebus della squadra.


venerdì 1 giugno 2012

Il colpevole è il maggiordomo

Sarò io, ma ho l'impressione che tutta questa storia del maggiordomo del papa sia un’istanza di “effetto Streisand”.

giovedì 26 aprile 2012

Povero Pierio


Lo so, non ha molto senso un post in cui uno si limita a copiare una voce di dizionario, ma quando la voce sembra un lavoro a quattro mani di Borges e Achille Campanile (e per giunta uno c'è arrivato per verificare una cosa sul nome scientifico di un certa famiglia di farfalle, e quindi c'è anche un soupçon di Gozzano e di Nabokov), sì, ha senso farlo:

pïèrio agg. [dal lat. Pierius, gr. Πιέριος]. – Aggettivo che presso gli antichi Greci ebbe tre sign. diversi: della Pieria (gr. Πιερία, lat. Pieria), regione costiera della Macedonia; del monte Piero, in Tessaglia; di Piero, personaggio mitico, nel quale si confondono però due figure diverse: un re di Macedonia, padre delle nove Muse, e un re dell’Emazia (regione centrale della Macedonia), padre di nove figlie che sfidarono le Muse nel canto e, vinte, furono trasformate in piche. I varî sign. confluiscono nell’epiteto di pierie, o pieridi, dato alle Muse, o perché originarie della Pieria (è questa la tradizione prevalente) o del monte Piero, o perché figlie di Piero, o perché, vincendo le figlie di Piero, ne avrebbero assunto il nome: le dee pierie, o, come sost., le Pierie (non usato il sing., nel quale si trova invece usato talora pieride); per estens., relativo o appartenente alle Muse, e anche, nei poeti latini, poetico: “nel pierio fonte Guardò Tiresia giovinetto i fulvi Capei di Palla” (Foscolo), nella fonte Ippocrene sacra alle Muse.



venerdì 23 marzo 2012

Faligi e “gli effetti dell'illecita condotta posta in essere”



Riassunto per i lettori più che frettolosi: una sedicente casa editrice organizza iniziative discutibili, un sito statunitense le discute in un editoriale, una traduttrice italiana traduce su commissione del sito statunitense l'editoriale, uno studio legale invia una lettera intimidatoria per conto della sedicente alla traduttrice dell'articolo.


Qualcuno dei 2,5 lettori di questo blog fa il traduttore e quindi probabilmente conosce già questa storia, ma è il caso che la apprendano anche gli altri.

Esiste una società che ha sede in provincia di Aosta, si chiama Faligi e si autodefinisce “casa editrice”. Dalla loro pagina web si apprende che “cercano” autori, a cui offrono vari servizî, tra cui l'“assegnazione della numerazione ISBN” e una promozione a base di “gadget scaricabili” e altro.

Ma qui ci interessano le magnifiche opportunità che offrono agli aspiranti traduttori, e la collera divina che scatenano contro chi critica i loro metodi. Loro non le descriverebbero così ma, come parafrasa l'articolo di cui sto per parlare, quello che dicono agli aspiranti è qualcosa come: “Voi ci date 160 euro. Poi traducete un libro gratis. Se il libro vende, è possibile che vediate qualche centesimo. Ma se noi non lo promuoviamo, o decidiamo di non pubblicarlo, o il libro non è un granché… che vi dobbiamo dire? Ci avrete smenato 160 euro e qualche mese di lavoro, mentre noi… niente di niente.”
Oppure, per riformulare in maniera ancor più colorita: “Mettiamo che Faligi si fosse presentato direttamente alla vostra porta. Offrendovi un magico biglietto della lotteria che costa solo 160 euro—i quali vi regalano il diritto a lavorare gratis per diverse ore alla prova di traduzione. Se la passate, poi potete lavorare gratis qualche altro mese della vostra vita; dopodiché, il vostro biglietto magico finirà nella riffa. Un giorno o l’altro ci sarà forse un’estrazione; e forse voi vincerete qualcosa. Ma non c’è nessuna garanzia, eh!
Fosse andata così, avreste chiamato la polizia e fatto arrestare i truffatori. Nel nostro caso, invece, potete cliccare il pulsante «Mi piace» su Facebook. Ecco: più o meno la differenza che c’è tra la vita vera e the Wonderful World/Le fabuleux destin/Die fabelhafte Welt della traduzione.”

Ora, arrivato a questo punto, scopro le carte. Quello che spero da questo post è di ricevere una bella lettera dai loro legali. Da quando ho saputo che la collega e amica Isabella Zani ne ha ricevuta una, non sto più nella pelle per riceverne una almeno altrettanto bella. Ora, che ha fatto Isabella? Qual è l'“illecita condotta posta in essere” da costei? È andata sulla pubblica piazza strillando nefandezze sul conto della Faligi? Li ha calunniati in alto e basso loco? Peggio, molto peggio.
Ha tradotto in italiano l'articolo del sito No Peanuts! for Translators che - giusto cielo! - critica l'operato della Faligi e dalla cui traduzione italiana sono tratti i passi che ho citato.

Per approfondire, consiglio caldamente di leggere il recente articolo (in inglese, con link ai documenti in italiano) dello stesso No Peanuts!, in cui sono descritte, senza lesinare i dettagli scabrosi, le conseguenze di questo atto criminoso, compresa la magnifica lettera passive-aggressive dei famosi legali e la lettera di risposta di Isabella (ora che ci penso! se sono veramente fortunato, magari di letterine magiche ne ottengo due, una per conto della Faligi e una da loro medesimi: rischio di batterti, Isa!).

E, affinché il coefficiente di pignoleria di questo post sia adeguato, si sappia che la cura esasperata che la Faligi mette nel suo lavoro redazionale “affinché l'opera raggiunga un ottimo risultato” comprende evidentemente una dose generosa di virgole tra soggetti e verbi, come in

La Faligi Editore, mette a disposizione dei suoi autori...

Aggiornamento (24.3): Un altro post sullo stesso argomento, nel blog La bottega delle immagini di Giovanni Angelo Jonvalli.
Aggiornamento 2 (25.3): Il blog giramenti di Gaia Conventi cita e raccomanda questo post.
Aggiornamento 3 (26.3): Anche .mau., nelle sue Notiziole, commenta sapidamente la faccenda.

sabato 10 marzo 2012

Can drink, will drink

Round Margherita + Can Drink

Visto che “tutto l'alluminio può”, potrà anche bere, no? (Per tacere del “Round”.)

venerdì 2 marzo 2012

Virgole abusive

Come ricorda Leo Pestelli, “Le virgole! Buona parte di logica - ha detto il Tommaseo - potrebbe ridursi a un trattato delle virgole”.

Chiunque, affigge abusivamente manifesti, è punito ai sensi dell'Art. 663 del Codice Penale
E allora chiunque, usa le virgole solo come, elementi decorativi, come è, punito?

giovedì 19 gennaio 2012

“Un buon posto per morire” di Tullio Avoledo e Davide Boosta Dileo

Ho letto Un buon posto per morire di Tullio Avoledo e Davide Boosta Dileo. Avoledo di solito è uno Scrittore con la S maiuscola; di Dileo nella mia ignoranza senza fondo so solo quello che dicono il risvolto di copertina e la Wikipedia italiana, e cioè che è “il tastierista e fondatore dei Subsonica, dj, produttore, scrittore, compositore, presentatore televisivo, presentatore radiofonico, cantante, musicista”.

Il succo: rispetto agli altri libri di Avoledo, questo è abissalmente deludente.

La copertina già non promette bene. No, meglio riformulare: la copertina sembra fatta da un dilettante in una giornata no. È un'elaborazione grafica in cui si vedono la basilica di san Pietro, un'arena che ricorda il Colosseo e vari altri edifici disposti a casaccio, ognuno con una sua prospettiva indipendente. Il tutto è sovrastato da nuvoloni apocalittici, virato in rosso e condito abbondantemente con riflessi, flare e altri effetti ottici accattivanti.
E questa è solo la copertina.
(Non bisogna judge a book by its cover, dicono, ma chi se ne intende sa come stanno le cose.)

Il libro può piacere a qualche lettore di Martin Mystère che s'è stufato dei disegni bonelliani ma vuole nuove dosi della stessa droga: un asteroide imminente, nazisti sopravvissuti, basi segrete in Antartide, il golem, un gioco misterioso in cui è celata la Verità, Nostradamus, il Vril, le linee energetiche che collegano i luoghi di potere, Torino magica...


Non ho inventato nulla, e detto così può parere anche divertente, e mi aspettavo e speravo che lo fosse. Non lo è. Ma non vi fidate di me, eh, compratelo e leggetelo. Vi ho pure messo il link lassù: se lo comprate in tanti, forse Amazon mi accredita anche tre centesimi.


Ma questo è un blog di pignolerie, ed è nei dettagli che si cela il diavolo e che Avoledo e Dileo (e il loro distratto editor all'Einaudi) sono spiccatamente manchevoli.
Durante la lettura, quando avevo un pezzo di carta sotto mano - cioè non sempre - mi segnavo quello che non andava. Quindi vi posso dare appena un assaggio della faciloneria con cui A&D hanno affrontato qualunque ostacolo ortografico, scientifico, storico.


Il prologo dovrebbe creare lo sfondo su cui svolge la vicenda: incombe un meteorite che potrebbe distruggere la Terra e la cui conoscenza, da secoli, è appannaggio di cospirazioni e sette segrete. In due pagine scritte in stile pseudoscientifico e piene di dati, A&D riescono a concentrare tante imprecisioni da poterne fare un esercizio per un corso di editing scientifico. Che vuol dire che le probabilità di morire colpiti da un oggetto celeste sono “una su sei milioni”? All'anno? Al giorno? Per persona? È come dire che la probabilità di mangiare un uovo è una su dieci. Ha pure senso, se solo ci si mette d'accordo sul significato. Si spargono allegramente megatoni e numeri vari, ma soprattutto... che cos'è l'“energia cinetica potenziale”?
Siamo arrivati a pagina 7. Il libro ne ha 650: meglio sbrigarsi.


In un libro in cui la lingua tedesca e personaggi tedeschi hanno una certa rilevanza, e buona parte dell'azione si svolge in Antartide, non andrei a scrivere decine di volte Antartika al posto di Antarktika.
I conigli non sono roditori, il Terzo uomo non è un film di Orson Welles, “fante di fiori” in inglese non si dice “Jack of Flowers”, l'ordine che un sottufficiale tedesco dà per mandare alla carica i suoi uomini non è - per più ragioni - “Worwärts, menschen” [tutto sic]. E, ignorando tutte le altre ortografie creative e termini stranieri inutili, concludo con la miglior perla storico-linguistica.
Nel 1912, in un luogo improbabile (ma questo va bene, fa parte della trama) irrompono dei militi tedeschi “urlando «Imperial Kriegsmarine!»”
Che lingua è? Un misto di inglese e tedesco? Io non sono un esperto di storia militare tedesca, ma ci vogliono circa 24 secondi per apprendere che la marina militare tedesca dell'epoca si chiamava “Kaiserliche Marine”.


Non mi fraintendete: è un libro che una volta cominciato si fa continuare a leggere (in particolare, se uno ama un'eco stinta e quasi irriconoscibile dello stile di Avoledo, ripetizioni assortite, cattivi che paiono macchiette e un punto di vista narrativo che balla come un folletto ubriaco).

lunedì 16 gennaio 2012

Chi è stato tradito?

Leggo solo ora sulla “Lettura” (l'ottimo supplemento culturale domenicale del Corriere della Sera) dell'8 gennaio la breve recensione firmata da Franco Manzoni dell'antologia Poeti greci. Da Omero al VI secolo d.C. (edita da Dalai), curata e tradotta da Vincenzo Guarracino. Il libro promette bene, ma non ne parlo perché non l'ho visto.

Scrive tra l'altro Manzoni, che a sua volta è anche poeta e traduttore:
[Guarracino] si mette alla prova [...] cercando di raggiungere la medesima intensità linguistica emozionale dei testi originali. Tradire per ricreare quell'antica fulgida luce [...].
Quello che mi colpisce è che anche un serio critico letterario, e un serio critico letterario che recensisce specificamente una traduzione in quanto tale, si lancia in affermazioni che vanno dal banale (“raggiungere la medesima” etc., certo; che cosa, se no?) al discutibile (ancora “tradire”?), contraddicendosi nel frattempo.

È quasi come se un critico di vini dicesse:
[La tal cantina] si mette alla prova [...] cercando di spremere uva e lasciarla fermentare per ottenere un gustoso nettare. Produrre aceto per deliziare i palati [...].
(Devo l'idea di un parallelo tra la traduzione e la vinificazione, in tutt'altro contesto, all'amico Bruno Osimo.)


domenica 15 gennaio 2012

I 17 indizi del sudoku

Qui si parla di sudoku, di una nuova scoperta che lo riguarda e di una rivista che mi è simpatica e che quindi non voglio sbugiardare esplicitamente.

Comunque, in una pagina di notizie brevi di scienza, la rivista riporta che:
Il Sudoku ha una soluzione unica se contiene almeno 17 indizi. Gli schemi con un numero inferiore di indizi numerici possono invece avere più di una soluzione. Lo studio, pubblicato sulla rivista online Arxiv.org, è basato sullo sviluppo di un nuovo algoritmo e ha richiesto 7,1 milioni di ore di calcolo all'Irish centre for high-end computing.
Ora, la prima frase è falsa, la seconda quasi e nella terza c'è una seria imprecisione.
La vera notizia è che un sudoku con meno di 17 “indizi” (cioè numeri dati nello schema iniziale) sicuramente non ha una soluzione univoca. 17 è il numero minimo che permette di costruirne uno con una soluzione unica, ma non è certo vero che se un sudoku contiene almeno 17 numeri o più la soluzione sia unica. Ce ne sono di ben più affollati con soluzioni multiple.
Infine, Arxiv.org non è una rivista: è, come suggerisce il nome, un archivio in cui si possono depositare articoli, spesso in attesa che vengano valutati da una rivista scientifica, in modo che siano immediatamente accessibili a tutti.

E, sì, certi matematici tra cui il sottoscritto non sono particolarmente interessati a risolvere i singoli sudoku ma sono incuriositi dai non pochi aspetti matematici del gioco, come le sue proprietà “estremali” (qual è il minimo numero di indizi che devono essere presenti perché la soluzione sia unica? qual è il numero massimo che ammette più soluzioni? e via dicendo) e combinatorie in generale.
Poi, il sudoku in generale ha il problema innato di essere un esempio, elementare ma bello, di ragionamento matematico nonostante siano presenti dei numeri.
In altre parole, una reazione naïf al sudoku può essere: «Ci sono dei numeri, quindi è matematica». E spero che ormai quasi tutti sappiano che questa implicazione non è vera.
Qualcuno un po' più smaliziato conclude: «Sì, ci sono dei numeri, ma se anziché 10 9 cifre fossero 10 9 lettere o 10 9 simboli arbitrari, il gioco funzionerebbe allo stesso modo. Quindi non è matematica». L'inizio è giusto, ma poi il ragionamento naufraga drammaticamente, perché si basa sulla stessa premessa sbagliata che “matematica = numeri”.
Invece la matematica è fatta di ragionamenti, di configurazioni, di escludere contraddizioni, di porre ipotesi e trarne deduzioni. E tutte queste cose, in maniera embrionale, sono presenti anche nel più semplice degli schemi di sudoku.

Per approfondire, Maurizio Codogno spiega più in dettaglio le novità matematiche sul sudoku e rinvia a un altro proprio articolo sui quadrati latini e gli altri antenati del sudoku; a questo riguardo si possono vedere anche i lucidi di un seminario di Peter J. Cameron su “Sudoku, Mathematics and Statistics”; mentre nell'arxiv si può trovare appunto l'articolo con la scoperta di cui parliamo, “There is no 16-Clue Sudoku: Solving the Sudoku Minimum Number of Clues Problem” di Gary McGuire et al.