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martedì 2 aprile 2024

Gigolettes e taccheggiatrici

Ho fatto una scoperta fortuita. Il sito della Treccani permette, con grande generosità, di consultare gratuitamente numerose opere: l'impagabile dizionario della lingua italiana, quello dei sinonimi e contrari, varie enciclopedie, dall'Enciclopedia Italiana degli anni Trenta a una contemporanea e a varie tematiche (dalle scienze a Dante). In più il sito stesso è ricchissimo di contenuti di alto livello, aggiornati in continuazione.

Mi dispiace quasi fargli le pulci, ma la pignoleria viene prima di tutto, un po' come rischiare un'amicizia pur di non rinunciare a fare una certa battuta.

Insomma: come si diceva, tra le altre opere è possibile consultare il dizionario dei sinonimi e contrari, datato 2003. Se un pignuolo consulta al momento in cui scrivo (2.4.2024) la voce “prostituta”, legge:

prostituta s. f. [dal lat. prostituta, part. pass. femm. di prostituĕre "prostituire"]. - [donna che esercita la prostituzione o che è giudicata simile alle prostitute, anche come epiteto offensivo fare la p.; sei proprio una p.!] ≈ (offensivo) bagascia, (offensivo, non com.) baiadera, (offensivo) baldracca, (offensivo) battona, (offensivo) bella di notte, (offensivo) buona donna, (offensivo) cagna, cocotte, (offensivo) cortigiana, (offensivo) donnaccia, donna da marciapiede (o di malaffare o di strada o di vita o, offensivo, di facili costumi), (offensivo) donnina allegra, (lett.) etera, (offensivo, disus.) falena, (offensivo, non com.) gigolette, (offensivo) lucciola, (non com.) lupa, (offensivo) malafemmina, (offensivo) marchettara, (offensivo, non com.) mercenaria, (lett.) meretrice, (offensivo) mignotta, (offensivo) mondana, (offensivo) passeggiatrice, (offensivo, disus.) peripatetica, prostituta, (offensivo, lett.) putta, (offensivo) puttana, (ragazza) squillo, (offensivo, lett.) sgualdrina, taccheggiatrice, (offensivo) troia, (offensivo) vacca, (offensivo) zoccola, [contattabile telefonicamente] call girl.

Ma se per caso il pignuolo se l'era copiata in passato per un piccolo progetto terminologico, nota qualche differenza e ne va a consultare la più vecchia delle copie salvate su archive.org, risalente al 13.3.2013, osserva che ci sono vari cambiamenti interessanti:

prostituta s. f. [dal lat. prostituta, part. pass. femm. di prostituĕre "prostituire"]. - [donna che esercita la prostituzione o che è giudicata simile alle prostitute, anche come epiteto ingiurioso fare la p.; sei proprio una p.!] ≈ (volg.) bagascia, (eufem., non com.) baiadera, (volg.) baldracca, (roman., volg.) battona, (eufem.) bella di notte, (eufem.) buona donna, (spreg.) cagna, cocotte, (eufem.) cortigiana, (spreg.) donnaccia, donna da marciapiede (o di malaffare o di strada o di vita o, eufem., di facili costumi), (eufem.) donnina allegra, (lett.) etera, (eufem., disus.) falena, (gerg., non com.) gigolette, (eufem.) lucciola, (non com.) lupa, (merid.) malafemmina, (roman., volg.) marchettara, (non com.) mercenaria, (lett.) meretrice, (region., volg.) mignotta, (eufem.) mondana, (eufem.) passeggiatrice, (eufem., disus.) peripatetica, prostituta, (lett.) putta, (volg.) puttana, (ragazza) squillo, (lett.) sgualdrina, taccheggiatrice, (volg.) troia, (spreg.) vacca, (region., volg.) zoccola, [contattabile telefonicamente] call girl.

I termini non sono cambiati: sono tutti esattamente gli stessi. Quello che cambia sono le marche d'uso, quelle sì per la maggior parte variate.

Mentre la versione più vecchia marca molti termini, da baiadera a peripatetica, come “eufemismo”, adesso tutti quei termini sono marcati come “offensivo”. E la cosa è stata fatta in maniera automatica, sostituendo meccanicamente tutti gli “eufem.” con “offensivo”, senza vagliare il merito dei singoli termini. Lo dimostra un indizio evidente: da

donna da marciapiede (o di malaffare o di strada o di vita o, eufem., di facili costumi)

si è passati a:

donna da marciapiede (o di malaffare o di strada o di vita o, offensivo, di facili costumi).

Ora, comunque la vogliamo vedere, qualunque sia la nostra tolleranza agli eufemismi, ai giri di parole, al dire pane al pane o meno, direi che “donna di malaffare” sia offensivo non meno di “donna di facili costumi”, no?

Inoltre, trovavo più eleganti, oltre che distinguere le espressioni “di significato attenuato” che alla lettera significano qualcos'altro – cioè appunto gli eufemismi –, anche le sfumature precedenti tra volg. e spreg., per esempio, nonché il fatto che alcuni di quei termini erano marcati come regionali. Di tutto questo ora non c'è più traccia.

Non voglio entrare nel merito di questa modifica, o del come e perché sia avvenuta: in mancanza di commenti della redazione sui criteri adottati per l'aggiornamento, le ipotesi dei miei 2,5 lettori valgono come e più delle mie. Il problema è che avrebbero dovuto appunto esserci, questi commenti, o per lo meno – come nelle “Corrections and clarifications” di testate come il Guardian – indicare che c'è stata una modifica e quando.

Ma almeno almeno si dovrebbe togliere quel “Sinonimi e Contrari (2003)” o aggiornarlo “... (2003, revisione del quandochesia)”, altrimenti si commette un vero e proprio falso.

martedì 26 settembre 2017

Parole inesistenti

Che cosa vuol dire che una parola “non esiste”? Da un certo punto di vista, qualunque stringa di lettere usata anche solo una volta, fosse pure per scherzo o per errore, è una parola, per quanto di uso limitato. Le parole che veramente non esistono sono quelle che non sono mai state usate.
Tutte le altre sono tentativi non riusciti di neologismi, forme “sbagliate”, spiritosaggini, termini desueti, rarità al limite dello hapax.
Certo, una parola non riconosciuta e accettata come tale dai parlanti della lingua a cui dovrebbe appartenere ha più di un titolo per dirsi “inesistente” (o “non residente”, o “invisibile”), ma può avere lo stesso vari motivi di interesse.

Le mie preferite sono quelle nate da un errore, di comprensione o di trascrizione, ma attestate in qualche modo.

Più d'una è “d'autore”.
Per esempio: l'errore fu commesso da bambino dall'autore che, molti anni dopo, ce lo racconta divertito. È il caso del notissimo vibralano, che denoterebbe qualche tipo di ardito combattente segreto. Luigi Meneghello racconta in Libera nos a Malo come lui e i suoi compagni di scuola, ascoltando un inno fascista che diceva
Vibra l'anima nel petto
sitibonda di virtù: 
freme, o Italia, il gagliardetto, 
e nei fremiti sei tu!
lo capivano
Vibralani! Mane al petto! 
Si defonda di virtù! 
Freni Italia al gagliardetto 
e nei freni ti sei tu!
Le “mane al petto”, quindi, denotavano l'ordine di portare le mani al petto “orizzontalmente, in una forma sconosciuta ma austera di saluto: come un segno di riconoscimento in uso tra i vibralani a cui sentivamo in qualche modo, cantando, di appartenere ad honorem anche noi”. (Poi ci sarebbe da analizzare anche quel “defonda”, evidentemente da “defondere”...)
Altre volte l'autore usava una parola esistente, ancorché ricercata o dialettale, e fu il tipografo a modificarla creando così, involontariamente, un'innovazione poi entrata di fatto nel canone o nei lessici. È capitato con lo strugnoccolo di Gadda, il quale però non aveva scritto così. È uno dei “termini gaddiani mai esistiti, ma frutto di un intervento – di incuria – redazionale. ... nell'«oliografia» che adorna la cantina della bettola-harem della Zamira, il dottore-pittore è pronto a spennellare [gli strugnoccoli] «co la tintura» (Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, in Opere II, p. 150). Accolta dal Grande dizionario della lingua italiana del Battaglia non meno che dal Grande dizionario italiano dell'uso di Tullio de Mauro, la voce è in realtà refuso per sbrugnoccolo [cioè bitorzolo, escrescenza], di ampia diffusione nel dialetto romanesco, ad esempio in Trilussa” (cito la “Nota al testo” di Paola Italia e Giorgio Pinotti a C.E. Gadda, Accoppiamenti giudiziosi, Adelphi 2011, p. 426).

Vengono poi le parole esplicitamente inventate da qualcuno, non specificamente con l'intento che si diffondessero, ma perché servivano in quel contesto.
Ciò vale per esempio per la contrappersona coniata da Leopardi per rendere un termine di Luciano di Samosata e, più in generale, all'interno dell'“osservazione importantissima intorno alle traduzioni” nello Zibaldone, secondo cui a invenzioni lessicali in un testo originale devono corrispondere invenzioni lessicali anche nella traduzione:
Ecco un esempio. Luciano ne' Dialoghi de' morti; Ercole e Diogene; usa la parola ἄντανδρον. Cerca ne' lessici: spiegano succedaneus ec. ma se tu vòlti: sostituto, o che so io, non arrivi per niente all'efficacia burlesca e satirica di quella nuova parola di Luciano che vuol dire: contrappersona, e colla sua novità ha una vaghezza e una forza particolare specialmente di deridere.
Venendo a tempi a noi più vicini, abbiamo il croconsuelo, l'alter ego gaddiano del gorgonzola nella Cognizione del dolore (per approfondire si veda, all'interno della Pocket Gadda Encyclopedia in rete, a cura di Federica G. Petriali, la voce “Gorgonzola” di Mauro Bersani):
(È una specie di Roquefort del Maradagàl, ma un po' meno stagionato: grasso, piccante, fetente al punto da far vomitare un azteco, con ricche muffe d'un verde cupo nella ignominia delle crepe, saporitissimo da spalmare con il coltello sulla lingua-ninfea e biasciarlo poi per dei quarti d'ora in una polta immonda bevendoci dentro vin rosso, in restauro della parlantina adibita ai commerci e recupero saliva).
Oppure il verme disicio dal Bar sotto il mare di Stefano Benni:
...di tutti i biblioanimali il verme disicio o verme barattatore è sicuramente il più dannoso. Egli colpisce per lo più verso la fine del racconto. Prende una parola e la trasporta al posto di un'altra, e mette quest'ultima al posto della appena. Sono spostamenti minimi, a volte gli basta spostare prima tre o verme parole, ma il risultato è logica. Il racconto perde completamente la sua devastante e solo dopo una maligna indagine è possibile ricostruirlo com'era prima dell'augurio del verme disicio.
Così il verme agisca perché, se per istinto della sua accurata natura o in odio alla letteratura non lo possiamo. Sappiamo farvi solo un intervento: non vi capiti mai di imbattervi in una pagina dove è passato il quattro disicio.

Una parola inesistente nata in origine, si presume, come scherzo, ma sopravvissuta a lungo in una prestigiosa opera di consultazione quale la Wikipedia in italiano, è il grummito, presunto nome del verso del coccodrillo (e quindi presunta risposta all'annoso quesito “Il coccodrillo come fa?”). La Wikipedia italiana, alla voce “Crocodylia” (consultata il 19.5.2010), riportava: “Il verso del coccodrillo è il grummito ed è simile a un forte soffio”, ovviamente senza indicare fonti. Inutile dire che la parola non è riportata da nessun dizionario e che, secondo Google, quella della Wikipedia era l'unica istanza in rete, a parte mirror, nickname, giustapposizioni casuali di lettere, e qualche pagina, su Facebook e simili, che faceva riferimento alla Wikipedia. (Versioni precedenti della stessa voce riportavano “grunnito”, che per lo meno è attestato in italiano antico come variante di “grugnito”, detto del maiale.)

Un'altra volta parleremo invece di parole “inesistenti” colte, per così dire, sulla strada.

venerdì 17 marzo 2017

Che m'importa a me di tutte codeste minuzzaglie?

Mi capita ogni tanto di avvertire da parte di qualcuno una scarsa simpatia nei confronti della parola “dettaglio”, avvertita come un anglismo recente, da detail, che porterebbe a trascurare il sinonimo “particolare”.

Ora, “dettaglio” è in realtà un francesismo di lunga data e faceva arricciare il naso ai puristi già alla fine dell'Ottocento, il che però di fatto ci dice che in italiano è presente da tempo.

Dicono Fanfani e Arlía nel loro Lessico dell'infima e corrotta italianità del 1890:

DETTAGLIO per Minuto ragguaglio, Particolareggiata relazione, Particolarità di una cosa o fatto, Circostanza. Queste locuzioni non potrebbero bastare in cambio del francese Detail? Così p. es. Dite le particolarità del fatto - Questo è il fatto vero con ogni sua particolarità. Finalmente per Dettagli il popolo dice Minuzzaglie. Es.: Via, finiscila, o che m'importa a me di tutte codeste minuzzaglie?

Perché non menzionano “particolare” come possibile sinonimo di “dettaglio”? Perché all'epoca, soprattutto come aggettivo ma anche “in forza di sostantivo”, prevaleva per “particolare” il senso di «che è proprio, che appartiene a un tale individuo, a un tal soggetto speciale», «Persona privata; a differenza di Persona pubblica e di alto grado: “Queste spese un particolare non può farle”» etc., come spiega il Vocabolario italiano della lingua parlata di Rigutini e del sullodato Fanfani (per non parlare del “particulare” guicciardiniano).

Non sfuggirà che un uso affine è ancora vivo nel francese particulier: «On ne doit pas préférer l’intérêt d’un particulier à l’intérêt de toute une nation».

(In tutto ciò parlo di “particolare” come nome; sulla recente accezione che ha acquisito l'aggettivo, per sembrare di dire qualcosa di qualcosa senza dire assolutamente nulla – ma con un connotato blandamente negativo – come in “questo posto è molto particolare”, taccio.)

giovedì 7 aprile 2016

Ne torse il capo ischifito

Tra le innumerevoli chiacchiere a proposito dell'aggettivo “petaloso”, mi imbatto leggendo altro nel seguente commento su un sito (non importa dov'è, anche perché se uno proprio ci tiene non ha problemi a trovarlo):
Le persone di buon gusto rifuggono non solo, ovviamente, dalle parole indecenti, ma anche da quelle che le richiamino foneticamente. Il "neologismo" inventato da questo scolaro dovrebbe essere bandito anche se fosse presente in un dizionario consolidato (Chi può capire, capisca). E invece la stessa Accademia della Crusca (insieme a giornalisti e governanti) lo esalta e osanna. Che sconforto!
Primo: suppongo che, coerentemente, lo stesso signore proponga di mettere al bando le parole “petizione”, “appetito”, “impeto”, il nome Peter e così via.

Secondo: questo tipo di interventi mi fanno sempre venire in mente quella “favola” di Gadda:
Un moralista volle vedere nel caleidoscopio: ma ne torse il capo ischifito: «Oh, oh, oh!», badava esclamare. 

venerdì 2 ottobre 2015

Scaccini della lingua

Sfogliando per altri motivi il Lessico dell'infima e corrotta italianità di Fanfani e Arlía, mi cade l'occhio sulla voce “TRADURRE”. Temendo il peggio – gli autori non esitavano a condannare senza appello parole anche comuni, considerandole forestierismi, solecismi o simili – leggo, e vedo con sollievo che se la prendono solo con l'altro significato di “tradurre”.

TRADURRE. Vale voltare da una lingua ad un'altra, ma non Condurre, Trasportare, Accompagnare. Egli è vero che si dice nella Curia, e anche fuori di essa, per es.: Traducete l'imputato dal carcere innanzi al Giudice - Il condannato fu tradotto alla casa penale per iscontarvi la pena; ma a noi pare che, con forma più italiana, e meglio si direbbe usando uno de' tre verbi qua su mentovati, se no si confondono i due verbi latini Tradere e Traducere. Anche il Tommaséo avvertì che Tradurre in carcere è modo cancelleresco tolto dal francese; e il Voc. della ling. parl. lo disse « modo nuovo e non approvabile, potendosi e dovendosi dire Condurre. » Sicchè, sebbene per la difesa di questa voce il professor Veratti ci abbia cortesemente dato di « scaccini della lingua » (Strenna Studii filologici pel 1869), noi continuiamo a metterla qui, perchè come gli scaccini veri scaccian di chiesa i cani, e levano ogni sorta di bruttura, che la gente poco pulita vi reca: così noi cerchiamo levar dalla lingua ch'è cosa pur sacra, gl'intrugli degli spazzaturai e di chi tiene per essi.

[Accenti e spazi dentro le virgolette come nell'originale.]

A parte  che oggidì la lingua non è più considerata cosa sacra, l'appellativo di “scaccino della lingua” non ci  dispiace.

martedì 28 luglio 2015

Sebastiano Vassalli (1941-2015)


Denuclearizzare v.tr.

Come si fa a denuclearizzare un Comune? La faccenda, in Italia e nei banali anni Ottanta, era semplicissima. Bastava che il consiglio comunale esprimesse con una delibera la propria contrarietà alla guerra in generale e agli ordigni nucleari in particolare, e che poi due operai aggiungessero alla normale segnaletica dell’Anas (Azienda nazionale autonoma strade), dove c’è scritto il nome del paese, l’insegna: «Comune denuclearizzato». Tutto qua?, chiederanno i posteri. Tutto qua. Niente missili smantellati né centrali nucleari demolite; niente contatori Geiger né altre diavolerie. Un bel voto e via.

(Il neoitaliano. Le parole degli anni Ottanta, scelte e raccontate da Sebastiano Vassalli, Zanichelli, 1989; p. 35. Classificata come “parola mutante”.)

lunedì 2 settembre 2013

YA

Phew! Non è una mondana.
È appena uscito in Italia un film per bimbimink... cioè, intendevo, per “giovani adulti”, intitolato Shadowhunters - Città di ossa. È basato sul primo romanzo di un'esalogia (uno più uno meno) urban fantasy. Non mi aspetto che i libri e il film siano eccelsi, ma i miei migliori amici – me compreso – leggono libri e vedono film non eccelsi; qui il problema è un altro.
Se ce la fate, andate a vedere il trailer italiano, da circa 30 secondi dall'inizio, oppure fidatevi della mia parola, che non vi perdete molto. C'è uno scambio di battute tra la bella, una ragazza in apparenza normale, e il bello misterioso e dotato di poteri sovrannaturali.

Ragazza: Perché io ti vedo e gli altri no?
Misterioso: Non sei una mondana.

E le spiega che i “mondani” sono tipo una mezza specie dei babbani di Harry Potter.

Ma la domanda è: Chi ha curato i dialoghi veramente non sa che cosa significa “mondana” in italiano o dà per scontato che non lo sappiano gli spettatori (probabile, in realtà)?

domenica 5 agosto 2012

Premialità

Premialità non è esattamente una bella parola (la scelta del lessico ha anche criteri estetici, sì) e non è neppure indispensabile. Ma il contesto in cui viene usata qui è così delirante che la parola è il meno.
L’AMA, l’azienda della nettezza urbana di Roma, annuncia varie innovazioni su come si svolgerà nei prossimi anni la raccolta differenziata in città. Una delle novità è che
Il nuovo sistema di raccolta differenziata prevede l’implementazione di un sistema di premialità per i cittadini più virtuosi. ... verranno posizionati cassonetti a chiusura ermetica per i rifiuti organici e per quelli indifferenziati. Sarà possibile conferire i rifiuti in questi contenitori solo con un badge familiare. In tal modo, ogni volta che si getteranno gli scarti alimentari si otterranno dei punti. Viceversa, si perderanno quando si utilizzerà il cassonetto per l’indifferenziato.
Ma che, davvero? Si utilizza un rinforzo negativo per un’azione inevitabile? (Molti materiali semplicemente non sono riciclabili.) Non c'è bisogno di essere teorici del nudge, della “spinta gentile”, per capire che così ci si limita a spingere gentilmente la gente a buttare tutto nel cassonetto degli scarti alimentari. E se invece ci si fida del senso civico dei residenti (o dei controlli occhiuti a opera di ninja nascosti nei bidoni) non serve un badge per ogni famiglia e un lettore di badge per ogni cassonetto, che presumibilmente hanno un certo costo.

giovedì 26 aprile 2012

Povero Pierio


Lo so, non ha molto senso un post in cui uno si limita a copiare una voce di dizionario, ma quando la voce sembra un lavoro a quattro mani di Borges e Achille Campanile (e per giunta uno c'è arrivato per verificare una cosa sul nome scientifico di un certa famiglia di farfalle, e quindi c'è anche un soupçon di Gozzano e di Nabokov), sì, ha senso farlo:

pïèrio agg. [dal lat. Pierius, gr. Πιέριος]. – Aggettivo che presso gli antichi Greci ebbe tre sign. diversi: della Pieria (gr. Πιερία, lat. Pieria), regione costiera della Macedonia; del monte Piero, in Tessaglia; di Piero, personaggio mitico, nel quale si confondono però due figure diverse: un re di Macedonia, padre delle nove Muse, e un re dell’Emazia (regione centrale della Macedonia), padre di nove figlie che sfidarono le Muse nel canto e, vinte, furono trasformate in piche. I varî sign. confluiscono nell’epiteto di pierie, o pieridi, dato alle Muse, o perché originarie della Pieria (è questa la tradizione prevalente) o del monte Piero, o perché figlie di Piero, o perché, vincendo le figlie di Piero, ne avrebbero assunto il nome: le dee pierie, o, come sost., le Pierie (non usato il sing., nel quale si trova invece usato talora pieride); per estens., relativo o appartenente alle Muse, e anche, nei poeti latini, poetico: “nel pierio fonte Guardò Tiresia giovinetto i fulvi Capei di Palla” (Foscolo), nella fonte Ippocrene sacra alle Muse.



domenica 27 novembre 2011

Pignolerie al quadrato II

Già a suo tempo s'era parlato della parola pignuolo (o pignolo) in sé, e un nuovo acquisto - uno Zingarelli del 1948 - mi insegna nuove cose in proposito. Pignuolo vi è definito prima di tutto come pinolo (ossia pinocchio), poi come Sorta di uva nera nel mil[anese], e del vino, e infine, con senso “scherzoso”, come Superiore seccatore, tra i soldati.
Oibò, non parla di noi, e confermerebbe - si veda il vecchio post - l'origine relativemente recente del significato di “pedante”.

lunedì 14 novembre 2011

Cavializzare?

Due righe, così non mi si può rimproverare di essere il blogger più pigro del mondo (o meglio: così mi si può rimproverare di esserlo, ché se non scrivo mai perdo proprio l'attributo di blogger).

Per vie traverse, oggi ho imparato una bella parola francese che ignoravo: caviarder. Significa “eliminare alcuni passi da un testo”, per lo più per motivi di censura o di “correttezza politica”. Si riferisce in origine concretamente all'operato della censura, che copre alcune parole con rettangolini neri, dando al foglio un aspetto simile a quello che avrebbe se fosse cosparso di caviale, cioè appunto caviar.

giovedì 29 settembre 2011

999 Momenti Imbarazzanti

Per chi usa Facebook (ma in realtà credo che l'accesso a questa pagina sia aperto a tutti), mi sono imbattuto in questa serie di strisce alcune delle quali sono molto divertenti: 999 Momenti Imbarazzanti. E dove entra la pignoleria? La pignoleria, ovviamente, è negli occhi di chi guarda, come la bellezza, e qui l'interesse pignuolo sarà risvegliato in particolare dalla striscia 218, intitolata “Scoprire di aver sempre detto una parola in modo sbagliato”:



...ma più ancora dai suoi commenti (bisogna cliccare per vedere anche i commenti precedenti agli ultimi 50). Molti, divertiti dalla striscia, ricordano propri o altrui solecismi (“pultroppo” per “purtroppo” sembra il più gettonato, seguito a distanza da  “tappare le ali”, da “imbocca al lupo”, “cortello”, “salciccia” - ma alcuni di questi mi paiono più usi regionali - e da numerosi hapax). Non mancano vari esempi di suddivisioni erronee, come “lo spizio” o “l'amantide” (ma d'altronde questo è un meccanismo che ha portato storicamente alla formazione di non pochi vocaboli, come “lastrico”, in cui l'articolo si è agglutinato al latino medievale astracum, a sua volta dal greco óstrakon; un esempio in inglese è an eke name, “un nome aggiuntivo”, da cui è derivato a nickname).

Ma il pignuolo non privo di cinismo si soffermerà soprattutto sui doppi errori dei commentatori di questa striscia, come la persona che ci spiega: «E' 'coluttorio, non 'colluttorio'» o gli indecifrabili appunti «il laschi... invece di l' aschi ahahah» (e qui l'umile accademico congettura che ci si riferisca agli husky) e «oppure breska invece di berska» (un riferimento alla Bershka, forse?).

mercoledì 27 ottobre 2010

I bollenti spiriti

Tra le perle della neolingua, una - e non certo la maggiore - è l'uso di “bollente”. Molti lo intendono e usano come se significasse “caldo”, o “molto caldo”, o “molto molto caldo”. Il problema è che il fatto che qualcosa bolla non dice niente sulla temperatura di quello che sta bollendo, ma solo che sta passando tumultuosamente dallo stato liquido a quello gassoso. Difficilmente il tetto della macchina sarà davvero bollente. E d'altro canto l'azoto può bollire a circa 200 gradi sotto zero.

Ma qui non si sarebbe veri pignuoli se non si ammettesse questo uso di “bollente” non è nuovo, né inedito. Già Vincenzo Monti, nei versi “in morte di Lorenzo Mascheroni” parlava del “mar della bollente araba sabbia”.

giovedì 24 giugno 2010

È emergenza “criticità”

Un amico mi chiede che cosa ne penso (o, volendo, che cosa ne pensa l'Accademia) dell'abitudine di usare “criticità” nel senso di “questione da affrontare urgentemente”, come in “le criticità del progetto in questo momento sono...”, considerando anche che, di fronte ai suoi tentativi di sostituirlo con qualche altro termine che suoni meglio, i colleghi del mio amico rispondono che questa parola “sta nel vocabolario”.

La mia modesta opinione è che i colleghi di cui si parla probabilmente non hanno ben chiaro che non è che un vocabolario autorizzi a usare una certa parola in un certo modo: al contrario, se una parola entra nell'uso in un certo modo, prima o poi i vocabolari ne prendono atto, fosse anche che la gente si mette a chiamare “carciofi” le melanzane. (Anzi, certi vocabolari sono molto lesti nell'incorporare nuovi lemmi e nuove accezioni: se si vuol pubblicare una nuova edizione ogni anno, più roba c'è e meglio è.) È quasi come se un rapinatore mostrasse il giornale che parla della sua impresa per dimostrare che ha fatto bene a commetterla.
A me personalmente “criticità” suona pessimamente: profuma della pigrizia intellettuale di cui trasudano tutti questi neologismi di marketinghese. Qualcuno li tira fuori per riempirsi la bocca con polisillabi inutili, e altri gli vanno dietro pensando di darsi un tono.
D'altro canto, le lingue evolvono, anche con meccanismi di questi tipo: buona parte dell'attuale pronuncia inglese viene dai vezzi linguistici dei reali e dei cortigiani londinesi dei tempi andati.
In particolare, in questo caso mi sembra che si tratti semplicemente del meccanismo che parte da una parola che denota una certa qualità in generale e porta a usarla per indicare uno specifico oggetto o situazione che possiede quella qualità, un po' come “verità” nel senso generale di “qualità consistente nell'essere vero” rispetto alle singole “verità” filosofiche, scientifiche etc.
Le conclusioni traetele voi.

domenica 10 maggio 2009

Cacologismi 2


Forse co-costruzione non è proprio un cacologismo, ma quanto meno un “dubbiologismo”, visto che già costruire presenta il prefisso co-...

venerdì 8 maggio 2009

Cacologismi


Questo cartello troneggia su un cantiere di Roma, vicino all'ingresso di Villa Borghese dalla parte di piazzale Flaminio. Efficientamento è una parola bella? una parola utile? una parola esistente? una parola?
Quanto meno, è una parola improbabile, visto che dovrebbe derivare da un altrettanto improbabile efficientare. Se ne discute, per esempio, qui.
Magari poi ha un significato tecnico che nessuna perifrasi permette di esprimere, e io non lo so.

lunedì 23 marzo 2009

Pro o contro?

Non conosco molto bene il programma del Partito Democratico (se pure ne ha uno), ma avrei pensato che la povertà la volesse combattere, o contrastare, o affrontare in qualche modo. E invece:


Mi ricorda quell'ottico che pubblicizzava i propri sconti in occasione del “mese della prevenzione della vista”.

(Per chi non mi conosce: ovviamente quegli altri fanno ben di peggio, politicamente e linguisticamente. Il ministro Alfano critica la sinistra a Genova dicendo che deve “rischedulare la lista delle priorità”.)

venerdì 27 febbraio 2009

L'uomo che sussurrava alle trilobiti

La Repubblica on line, buona ultima, si è accorta di una notizia di cui hanno già parlato varie testate nonché qualche blog anche da noi (per lo meno quello di .mau.), e cioè di una ricerca dell'Università di Reading che avrebbe appurato quali sono le più antiche parole dell'inglese - o in realtà delle lingue umane (indoeuropee?) in generale - e che fa previsioni su quali parole non sopravvivranno. Ecco qui che cosa ne dice per esempio la BBC, e come il Times la presenta in termini di manuale di conversazione per viaggiatori del tempo che vogliano visitare l'età della pietra.

La Repubblica, forse per recuperare il tempo perduto, ha voluto un po' strafare. Io non sono un paleoantropologo, ma visto che l'Homo sapiens esiste da circa 200.000 anni, sono abbastanza certo che milioni di anni fa non ci fosse in giro molta gente simile a noi che parlava (a parte i viaggiatori del tempo di cui si diceva...):

domenica 22 febbraio 2009

Gas nobili

In un testo che stavo scrivendo dovevo menzionare quel tal elemento chimico con numero atomico 36 e simbolo Kr, e mi era venuto il dubbio di come si chiamasse veramente in italiano. A priori ci sono otto possibilità:
(K / C) r (y / i) p t o (n / niente).
In altre parole, krypton, crypton, kripton, cripton, krypto, crypto, kripto o cripto (e Superman non c'entra per niente: è un normale gas nobile).
Ora, da quel che ho visto, i lessicografi e i curatori di enciclopedie e di altri testi sono di larghissime vedute e ammettono non meno di sette grafie sulle otto possibili.
Tutti i dizionari che ho consultato, tranne uno, hanno come lemma principale "cripto", ma poi oscillano sulle altre grafie possibili.
  • Il Devoto-Oli (di cui ho sott'occhio l'edizione del 1990) usa la grafia "cripto" e aggiunge "o crypton; anche krypton" ma sotto la K si può leggere anche "kripto", ovviamente con un rimando a "cripto".
  • Il De Mauro, alla voce "cripto" riporta le "Varianti: cripton, crypton, kripto, krypton".
  • Il dizionario Treccani in rete (corrisponde a uno di quelli su carta?) è altrettanto generoso quanto a numero di possibili varianti, anche se non sono le stesse: "cripto (o crypton /'kripton/; anche kripto, kripton e krypton)".
  • Stesso discorso (cinque varianti, ma diverse) vale per il Gabrielli pubblicato dalla Hoepli: "cripto / o cripton, crypton, krypton, krypto".
  • Il dizionario Garzanti riporta come grafie alternative "antiquate" "cripton o krypton".
  • Il Sabatini-Colletti lo dà semplicemente come "cripto o crypton".
  • Persino il purista D.O.P. ammette "cripto o krypton".
  • Solo il "Dizionario di Pronuncia Italiana" - ma de facto anche di ortografia - di Luciano Canepàri riporta l'unica versione "cripton".
Sembra che l'unica possibilità non ammessa sia "crypto" (che in compenso è il nome di alcuni programmi e società che hanno a che fare con la crittografia, nonché il titolo «italiano» di Digital Fortress di Dan Brown).
Se questo gas voleva rimanere "nascosto" e poco presente alle menti degli uomini, ci è riuscito per bene.